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Michel Houellebecq e l’estetica della depressione. (1)

Il pensiero comune su Michel Houellebecq è che sia una carogna. Un misantropo, un cialtrone, un provocatore, un impostore, un vigliacco, uno che bluffa, uno che esagera. I nomi che saltano fuori più spesso sono quelli di Zola e Flaubert, ma il pensiero comune vuole che sia uno scrittore mediocre (Giuseppe Rizzo, Michel Houellebecq è una carogna, L’internazionale 17 gennaio 2015).

Lo scrittore Michel Houellebecq (Michel Thomas, 1956) è autore di una decina di libri spesso giudicati scandalosi. Non è chiaro quanto questo “scandalo” sia sincero, visto che vengono diffusi libri ben più scandalosi; che non sembrano provocare problemi di coscienza a lettori e recensori. Di sicuro l’esecrazione, più meno sincera ha garantito a Houellebecq spazio nel dibattito pubblico e successo. Quest’ambiguità stessa pone il problema di Houellebecq il quale, in effetti, non è un narratore che crede nel romanzo, come, ad esempio, Cormac McCarthy, Ian McEwan o Philipp Meyer. I suoi romanzi sono piuttosto schematici, pressoché privi di trama, espongono opinioni su cultura e società, scienza, arte e spiritualità, e vanno inscritti nel sottogenere del roman philosophique. Tutti condividono perlopiù una linea narrativa principale, il racconto (in terza o prima persona) di un personaggio che attraverso un itinerario di vita viene accompagnato sino alla soglia della morte; morte che, come nelle vecchie tragedie, cade spesso fuori dalla narrazione. I protagonisti di Houellebecq cercano un senso nel vivere, senso che trovano quasi unicamente nei sensi – nel sesso, nel cibo, nei soldi – come animazione fra nulla e nulla. Conoscono spesso l’amore che viene visto però come un’illusione o perché svanisce o perché legato alla sensualità o perché la persona amata muore. Houellebecq non costruisce romanzi nei quali possa avere posto la bella trama, il bel racconto, la prosa poetica. Se pure momenti, sprazzi, di finzione romanzesca esistono, il suo sforzo costante è riflettere la cruda realtà delle cose. In questo senso, i suoi sono degli antiromanzi. E perché, allora, sono interessanti – il che non significa dire che sono belli – ? Perché la sincerità dello scrittore lo pone al di fuori delle costrizioni ideologiche che oggi stanno rendendo vana, in fondo, l’opera di tanti scrittori contemporanei. 

Il senso di una provocazione

Le sue posizioni personali sono un concentrato di ambiguità e provocazione, non necessariamente riflesse nei libri. Può essere che l’origine antipoda di Houellebecq abbia accentuato una sua particolare estraniazione rispetto alla repubblica delle lettere francese. Egli infatti è nato a Saint-Pierre, Réunion, in pieno Oceano indiano. Ha vissuto per qualche anno in Algeria e poi è stato affidato alla nonna materna, Henriette Houellebecq, visto che i suoi genitori si disinteressano di lui. Dopo il liceo a Parigi si laurea in Agraria nel 1978. Di tutto questo – la disaffezione familiare, la formazione – c’è traccia nei suoi romanzi. Il difficile rapporto con sua madre, in particolare, e il distacco dal padre è oggetto di molti passaggi delle sue interviste. 

Dopo Estensione del dominio della lotta (Extension du domaine de la lutte, 1994) è arrivato il romanzo che lo ha fatto conoscere, Le particelle elementari (Les particules élémentaires, 1999). Quindi Piattaforma (2001) e poi una breve ma densa biografia intellettuale di Howard P. Lovecraft: Contro il mondo, contro la vita. Ha continuato con Le possibilità di un’isola (Lapossibilitè d’un île, 2005) per arrivare nel 2015 a Sottomissione, forse il suo testo migliore, nel quale si denuncia (ma è una denuncia?) il pericolo dell’Islam che, insinuandosi nell’Occidente, lo cambia radicalmente dall’interno. Il punto di vista dell’autore è libertario, ma un libertarismo più vicino all’anarchismo cosiddetto di destra. È un individualismo a-ideologico che ricorda posizioni di Ferdinando Céline, Guillame Faye o della Nouvelle Droite. In Sottomissione, Houellebecq osserva che l’Islam, o meglio le persone che praticano l’islam nelle forme storiche, toglierà spazio alle libertà individuali; l’aumento di queste componenti, paradossalmente, viene favorito proprio da quelle forze “di sinistra” che più sono lontane dai suoi valori e che, prima o poi, con esso dovranno scontrarsi. È un paradosso del nostro tempo.  

Considerato lo scrittore francese più importante della sua generazione – a torto o ragione – tradotto in tutto il mondo, non si può non parlare dello stato della cultura francese ed europea, prescindendo dalla testimonianza di Houellebecq (1958), vincitore, tra l’altro, di un Premio Goncourt. E non necessariamente perché i suoi libri siano bellio siano capolavori letterari. Rari i brani in cui si trovi il “bello scrivere”, pur essendo capace di scrivere in modo fluente e levigato, e pur essendo capace di offrire illuminazioni che aprono sprazzi di luce in un universo tetro e grigio. Anzi, questi sono libri ridondanti, ripetitivi, spesso troppo lunghi: si pensi a La possibilità di un’isolaSerotonina. I suoi protagonisti sono persone spesso banali, con qualche talento. Libri tutti simili nello schema che li struttura, restano tuttavia significative testimonianze dello stato di crisi della società postcristiana e della solitudine degli individui. Perché Houellebecq, questo sì, è lucido, intelligente e, pare, sincero. 

Nella vita del personaggio-protagonista, che passa attraverso varie fasi, in un flusso di eventi  comprende lunghe riflessioni sugli oggetti e la società, l’arte e la letteratura, la paura di vivere, l’amore, una lunga serie di descrizioni di scene di sesso che portano quasi invariabilmente al distacco, alla noia, a considerazioni sul decadimento fisico, alla morte. Trama, complicazioni, colpi di scena, sono disposti secondo una linea continua molto semplice, talvolta con flashback. La voce narrante diretta disegna la traiettoria dei suoi personaggi che portandoli sempre alla disillusione completa: quando finisce la possibilità del sesso finisce tutto. Molti dei personaggi di Houellebecq finiscono suicidi e, quasi invariabilmente, sono suicidi o appena morti i genitori. Sono dunque personaggi orfani. I suoi protagonisti sono quasi sempre in ottime condizioni economiche e non sentono il peso di guadagnarsi la vita: tutti questi sono chiari riflessi biografici.  

Se lo scrittore è spesso pungente e sarcastico non è questo il senso del suo lavoro come non lo è la storia. Il suo valore come letterato sta nella capacità che ha di descrivere dall’interno, dal punto di vista di un ateo dichiarato (che, dopo una serie di lutti diviene agnostico), la distruzione che l’abbandono del retaggio cristiano ha provocato e sta provocando in Europa. Su questo punto, Houellebecq pare sincero. È scabroso, certo, esplicito e provocatorio. Talvolta si lascia andare ad espressioni che potrebbero essere considerate razziste contro musulmani o persone di colore, ma considerarlo un razzista non coglie nel segno. Innanzitutto, Houellebecq non è uno scrittore anti-sistema come viene spesso dichiarato, è qualcosa di più complesso e singolare. Difatti è stato insignito dalla Legion d’Onore da Emmanuel Macron, il presidente più politicamente corretto che sia possibile concepire nel neototalitarismo libertario odierno. «Neoreazionario» è stato definito Houlellebecqe, e poi segnalato per essere vegetariano, filoisraeliano, ammiratore di Auguste Comte, libertario (ma con giudizio).
In un’intervista del 2010 al Sole 24 Ore dichiarava, però: «Non ho una visione giusta della società, in realtà me ne frego. Non sono pessimista. Non sono reazionario. Sono conservatore». Houellebecq legge la caduta dell’Occidente usando in modo più o meno coperto le categorie di René Guénon. Lo scrittore francese s’inserisce in una corrente importante della cultura francese che acutamente ha registrato il senso, la forma, le ossessioni dell’Occidente post-cristiano. Nei suoi libri non c’è proposta, soltanto una descrizione, una critica, l’ipotesi di probabili, future, distopie. 

I protagonisti di Houellebecq hanno talenti nutrono nei confronti della vita un disincanto totale: bevitori, erotomani, annoiati, esprimono opinioni negative sullo stato della nostra società “occidentale e laica”. Talvolta la voce narrante (o lo scrittore stesso) biasimano la Chiesa cattolica per aver tradito la sua missione mescolandosi troppo al mondo e alla modernità; questa critica – talvolta feroce, talvolta ironica ma anche accorata echeggia La crisi del mondo moderno(1924) di René Guénon ma ne rifiuta le raccomandazioni (“sciogliere” la dottrina della Chiesa nel retaggio di una non meglio definita Tradizione primordiale). 

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Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone si è laureato in Lettere all’Università degli Studi di Milano, specializzandosi in Storia del Rinascimento. È romanziere e saggista. Insegna Scrittura Creativa all’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia. Ricercatore storico e studioso di storia dell’immaginario e delle idee, ha pubblicato molti libri e centinaia di articoli, collaborando con mensili, settimanali e quotidiani.

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