Houellebecq e l’estetica della depressione (2)
In Estensione del dominio della lotta (1994) racconta la vita noiosa di un giovane burocrate esperto in informatica. I suoi colleghi si impegnano in goffi tentativi di sedurre colleghe. Rintoccano qui già le campane a morto della Francia scristianizzata, di città un tempo bellissime ma ora (siamo soltanto nel 1994) sudicie, circondate da bruttezza e da bande di derelitti e casseurs. Decadenza, appunto, tristezza irrimediabile per qualcosa che è andato perduto. Nelle prime pagine un amico divenuto prete gli raccomanda di cercare il divino, ma non pare molto convinto nemmeno lui: è circondato da malinconia e scarsa fiducia.
Estensione del dominio della lotta
La condizione del prete in una società scristianizzato lo isola, osserva Houellebecq. Nel mezzo del racconto, morti improvvise (un avventore in un supermercato) malattie e suicidi: perché la morte è dappertutto. Naturalmente è dappertutto anche nella trama della vita di ciascuno di noi, ma nell’economica chiusa di un romanzo pesa la scelta di renderla onnipresente pesa molto. Il protagonista viaggia per lavoro con il ripugnante Tisserand, impiegato che cerca a tutti i costi la compagnia di una donna senza ottenerla: ha rinunciato all’amore, cerca soltanto l’avventura ma nemmeno questo gli riesce. Tisserand è un uomo ridicolo, grottesco, e così Houellebecq ci ricorda come l’uomo privato delle sue fedi o delle sue illusioni si abbassa al rango di un animale ma con la coscienza di essere qualcosa di più. Con questo, l’autore non dà consigli, non raccomanda: si limita a registrare.
La vita è breve e il periodo nel quale ci è consentito di vivere più intensamente (se non incorrono problemi), è l’adolescenza quando l’impulso animale alla vita più potente. Dopo, è un lento adeguarsi, un conformarsi, un arrendersi piano piano alla condizione scomoda di essere umano. Il protagonista del romanzo viene alleviato nella sua angoscia dall’amore di una donna, Véronique (“rovinata” dalla psicoanalisi e dunque incapace realmente di amare). Perché – ecco il neoreazionario che esprime soltanto buon senso – le condizioni dell’adolescenza moderna, con i suoi vagabondaggi amorosi, le sue prove di perversione, rovinano per sempre le possibilità dell’amore puro. Lo stesso Houellebecq, scrittore scandaloso, sostiene che la libertà sessuale, quando perseguita troppo a lungo, rende incapaci di amore, rende le coppie instabili e tristi. Tisserand, il collega dal volto di rospo, che non riesce a sedurre donne, seguendo un suggerimento del protagonista buttato un po’ per scherzo («se non puoi avere le donne puoi avere la loro vita») arriva quasi a uccidere una ragazza con la quale ha tentato un approccio. Ma non ci riesce e così, pochi giorni più tardi, si suicida: la prima di una lunga serie di suicidi dei romanzi di Houellebecq. Muore e viene ritrovato con il suo completo nero e la ridicola cravatta dorata che sfoggiava durante le sue uscite galanti, a «caccia». Il finale è una conflagrazione di effetti che erano impliciti nella situazione precedente: l’alienazione dei personaggi che si trovano a vivere in una società inumana per le sue regole sociali ed economiche, per la forma delle città, per l’insensatezza di ideologie senza fondamento. Anche il prete amico del protagonista perde la fede dopo essersi innamorato di un’infermiera che la direzione di un ospedale ha costretto a praticare un’eutanasia.
Il protagonista, poi, chiede soccorso a uno psichiatra prima di trasformarsi (forse) in un folle che uccide donne anziane nella campagna. Viene ricoverato in una clinica psichiatrica dove si prodigano per farlo «ricentrare su se stesso». Lui spiega che il mondo della fine del XX secolo implica che si viva in un sistema basato sulla dominazione, sul denaro e sulla paura (Marte) e uno basato sulla seduzione (Venere). Se è tutto qui, spiega il protagonista a una psichiatra, l’unica soluzione è impazzire come Guy de Maupassant. Una dottoressa replica che la follia di Maupassant era dovuta alla sifilide ma lui risponde che la sifilide è stata un mezzo per raggiungere il nulla e la morte. Del resto, Houellebecq è ammiratore di Charles Baudelaire che dalla sifilide è stato coscientemente consumato: che nella sifilide si è quasi autosacrificato per raggiungere una vita inimitabile.
La nostra civiltà sviluppa una mole di amarezza che non è stata di nessun’altra e la mancanza di un orizzonte oltre la limitatezza del mondo è insopportabile. Alla fine il ritorno a una specie di normalità è vissuta come una sconfitta: il protagonista sente di vivere “al centro del baratro”. Forse, è in procinto di suicidarsi. Estensione del dominio della lotta è la matrice ideale di quasi tutti i romanzi dello scrittore.
Le particelle elementari
Le particelle elementari (1998), primo successo di Houellebecq, racconta in terza persona le diverse traiettorie di vita di due fratellastri, Bruno e Michel. Bruno è un essere solitario, anafettivo e timido, sempre più ossessionato dal sesso sino a diventare un erotomane. Dà all’autore lo spunto per raccontare, su due piani temporali – uno che dagli anni Cinquanta attraversa i Sessanta, i Settanta, la rivoluzione dei costumi sino a oggi. Va a cercare avventure in luoghi franchi, comuni libertarie fondate in diversi punti della costa francese, dove si radunano nudisti, hippy e più tardi new ager.
La soddisfazione delle pulsioni è l’unica realtà della sua vita, nient’altro riesce a tenerlo in vita. Stabilisce un contatto umano soltanto con una certa Annick che, a un certo punto, infelice perché poco avvenente, si suicida. Nei romanzi di Houellebecq il suicidio è frequente, quasi che gli esseri umani (gli “occidentali”) siano ormai legati alla vita soltanto da un esile filo, non perché arrivino guerre improvvise o epidemie ma perché non hanno più la volontà di vivere. Nel 1981, Bruno conosce Anne, si sposano, hanno un figlio ma niente li tiene insieme e poco dopo divorziano. Il secondo piano narrativo inizia quando, ormai adulto, Bruno incontra il fratellastro Michel. Questi ha fatto anch’egli vita da disadattato, ed è ancor più solitario; però ha esercitato la sua intelligenza sulla risoluzione di problemi scientifici: è divenuto uno scienziato. Persa la prospettiva soprannaturale, la vita per lui si riduce a una geometria di passioni e pulsioni da soddisfare.
La vecchiaia o anche soltanto la mezza età, inevitabilmente, portano all’impossibilità di soddisfare le pulsioni, sessuali o alimentari, e questo conduce quasi inevitabilmente – nel campione dei personaggi di questo romanzo – all’alcolismo, alla perversione o al suicidio. I ragionamenti di Michel portano spesso a riflessioni scientifiche: la vita umana viene paragonata a quella animale. Nel capitolo X del romanzo, i due fratellastri discutono di Aldous e Julian Huxley; Michel sostiene che i due sono stati fra i più influenti pensatori del secolo che hanno anticipato tutte le tendenze odierne della biologia, dell’eugenetica travestita da “scienza della vita”, dalla liberazione sessuale alla nuova società liberata, immanente, panteista, dove ogni angoscia – impossibile da eliminare – sarebbe stata estirpata da droghe.
Il capitolo sugli Huxley si trova alla metà del libro e ne è, in effetti, la chiave. Come sempre i piani narrativi e temporali non sono diacronici ma si intrecciano. Nel finale si mostra come le intuizioni di Michel, uno dei due fratelli, portino a scoprire il segreto della giovinezza agendo sulle “particelle elementari”, i mattoni della materia, che spiegano la vita più della selezione naturale. La scelta sessuale non servirà più per cercare di unire unità familiari basate sull’amore e comuni interessi e per la procreazione, ma come attività ricreativa. È vicino all’utopia sognata da Huxley in L’isola, il romanzo del 1962, ultimo dell’inglese, che viene citato nel mezzo del libro. L’isola descrive un mondo dove oriente e occidente prenderanno l’uno il meglio dell’altro per creare una spiritualità atea, vagamente buddhista in cui la famiglia sarà abolita, l’eutanasia introdotta e le tappe della vita marcate da assunzione controllata di droga psichedelica e libero amore. Era l’utopia alla quale Huxley aveva lavorato tutta la vita e che vedeva, in parte, avverarsi nella California dei Sixties. Houellebecq va oltre perché 50 anni di ricerche nel campo genetico non sono passati invano e il modello di Huxley va rivisto. Tutti avranno lo stesso codice genetico e tutti saranno cloni.
Lo scrittore mantiene un tono apparentemente distaccato, apparentemente ammirato. È volutamente ambiguo, non lascia ben capire quale è il suo giudizio. Forse perché il giudizio personale non è importante. In un mondo che ha perso ogni contatto con la dimensione ultraterrena, e soprattutto con la prospettiva cristiana – questo la tesi di Houellebecq – lo sbocco obbligato sarà l’eugenetica, la singolarità, l’immortalità ritrovata agendo sulle “particelle elementari” della materia, lì dove davvero si situerebbe il mistero della vita.
Piattaforma
Piattaforma (2001) è il romanzo che fece discutere, quando uscì, per la sua ostentata rappresentazione di situazioni esplicite. Che la “critica”, anche quella politicamente corretta, si scandalizzi per queste rappresentazioni iperrealistiche, fastidiose ma coerenti con la macchina di senso dei testi di Houellebecq, in tempi in cui la pornografia è tollerata e persino considerata come normale forma di espressione, desta meraviglia. L’ipocrisia è parte naturale della società letteraria. Quelle descrizioni appaiono volutamente realistiche perché Houellebecq vuole dimostrare che quando tutto si riduce agli istinti resta poco del senso della vita. È forse questa la parte più “scandalosa” dei suoi libri?
Piattaforma è la storia di un funzionario che, al solito non piange la morte del padre, ucciso dal fratello di una sua amante musulmana. Il “vecchio bastardo”, scrive, “tira le cuoia” lasciandolo ricco. La prima parte del libro è scritto nello stile di un reportage. Il protagonista di accoda a un gruppo di turisti francesi che visitano una località dell’estremo oriente finendo in Thailandia. Il racconto ha un andamento sociologico: impassibilmente esamina le dinamiche che si producono in un gruppo umano in una situazione simile (quando inizia la socializzazione, come si creano aree comuni di conversazioni, quando ci si divide in gruppi ostili ecc.). Houellebecq cita addirittura studi sulle scienze del comportamento e la psicologia. Registra la rozzezza dei discorsi dei turisti che, ad un certo punto, si concentrano sull’offerta del turismo sessuale thailandese. Tra i membri del gruppo si intrecciano anche discussioni sugli inevitabili scontri razziali che squasseranno l’Europa e sulla degenerazione della civiltà “bianca” che si considera inferiore alle altre ma non lo è. Ecco riaffiorare spunti dello scrittore neoreazionario che questa volta sembra appoggiare sinceramente queste idee.
Dopo una serie di avventure perlopiù turistiche il protagonista si ritrova a Parigi con una donna del programma turistico, Valérie: emancipata, disincantata, nubile, ella sostiene che donne e uomini stanno diventando sempre più simili nei comportamenti. Frequentano una coppia sposata che compongono una famiglia “normale”ma tra i due, non c’è più amore, anche se sono legati dai figli: «sono intrappolati nel sistema sociale come un insetto in un blocco di ambra». La voce narrante vede nascere un nuovo progetto turistico nel quale Valérie, manager del turismo, gioca un ruolo importante. I due vanno anche a vivere insieme e lui, che ama la trasgressione, la porta a vivere situazioni che la sconvolgono. Houellebecq ricorda che l’umanità privata di controllo e civiltà può tornare a manifestare comportamenti ferini, feroci e animaleschi.
La voce narrante dichiara: «Da un po’ di tempo a questa parte ho molti dubbi sull’utilità del mondo che stiamo costruendo» (p. 166). Dopo che il nuovo progetto varato dall’azienda di Valérie, un progetto di turismo tradizionale, va male, il libro intreccia riflessioni sull’economia e la situazione dell’uomo medio, neobarbaro che non conosce la complesse e sofisticate tecniche di cui utilizza i prodotti: l’uomo occidentale medio – peggio ancora quello non occidentale – utilizza prodotti e tecnologie che hanno richiesto conoscenze molto sofisticate e lui perlopiù ignora. È diventato un barbaro, un selvaggio. Anche in questo, la riflessione ricorda analoghe osservazioni “neoreazionarie” (di buon senso) di Ortega y Gasset e di René Guénon. Il risultato del viaggio porta a una sola conclusione: i villaggi turistici devono essere riconvertiti al turismo sessuale. Vengono così creati i villaggi “Aphrodite”. Nel clima intriso di violenza, di scontri di casseur e di stupri della Francia, quel progetto sembra regalare un’oasi di trasgressione a basso prezzo.
Il tocco “erotico” consente di diminuire i costi dei villaggi del 25%. La sessualità viene inserita nel meccanismo economico del turismo, essendo stata quasi espulsa da quella della procreazione. Durante un’ulteriore visita a uno di questi villaggi vacanze in Thailandia, in un momento di tranquillità, mentre lui pensa di aver trovato una donna che lo può rendere felice, esplode una bomba che fa strage. Tra le molte vittime c’è anche Valerie che muore tra le sue braccia. Il libro si conclude descrivendo la lunga fase delle dolorose degenze della voce narrante. Infine, il protagonista si installa in Thailandia, ma ormai non ha più voglia di vivere. Poco prima della fine, l’amara epigrafe:
Rimarrò fino all’ultimo un figlio dell’Europa, dell’ansia e della vergogna; non ho alcun messaggio di speranza da comunicare. Per l’occidente, non nutro odio, tutt’al più un immenso disprezzo. So soltanto che, dal primo all’ultimo, noi occidentali puzziamo di egoismo, di masochismo e di morte. Abbiamo creato un sistema in cui è diventato semplicemente impossibile vivere; e, come se non bastasse, continuiamo a esportarlo. (p. 294).
La conclusione è affidata a una fredda nota di cupio dissolvi:
La morte adesso, l’ho capita; non credo che mi farà molto male. Ho conosciuto l’odio, il disprezzo, la decrepitezza e varie altre cose; ho conosciuto anche qualche breve istante d’amore. Di me non sopravviverà nulla, e non merito che qualcosa mi sopravviva; sarò stato un individuo mediocre, sotto tutti gli aspetti […] Non so perché ma penso che morirò in piena notte […] Qualche autoctono mi scoprirà dopo un paio di giorni – anzi, dopo poche ore […] Contrariamente ad altri popoli asiatici, i thailandesi non credono ai fantasmi, e provano scarso interesse per il destino dei cadaveri: la maggior parte dei morti viene sepolta direttamente in una fossa comune. Lo stesso avverrà per me, visto che non avrò lasciato istruzioni precise […] Il mio appartamento verrà affittato a un nuovo inquilino. Verrò dimenticato, verrò dimenticato alla svelta.
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