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Gli orizzonti della serialità

A fine agli anni Ottanta nelle produzioni seriali di fiction televisiva sono state introdotte delle novità che le avrebbero profondamente trasformate nel corso del ventennio successivo. Si sarebbe infatti imposta negli anni novanta la forma del serial (series) composto di stagioni (seasons) separate ma inserite in una diegesi unitaria e questa forma sarebbe arrivata a compiutezza artistica e spettacolare nei dieci anni circa che vanno dal 1999-2000 al 2010. Solitamente si indica il vero momento di svolta nella produzione di Twin Peaks (ABC, 1990-1991), indicazione che – pur con tutte le prudenze del caso – può essere accolta. Si può soltanto aggiungere che linee orizzontali non calcate si erano già viste in serie del quindicennio precedente, come Baretta (1975-1978) Lou Grant (1977-1982), Hill Street giorno e notte (1981-1987). La linea narrativa orizzontale, in questi casi era però ripresa sporadicamente e si limitava al cambiamento di relazione fra personaggi, all’avvicendamento di superiori e colleghi dei poliziotti o giornalisti protagonisti della serie.

Il ritrovamento di Laura Palmer

Quanto a Twin Peaks, l’atmosfera cupa e grottesca, i tempi “non televisivi”, le situazioni paradossali, la cura per fotografia e colonna sonora si dovevano, come si disse al tempo, “all’autorialità” cinematografica di Lynch che irrompeva in televisione per opera del regista-autore David Lynch. A parte queste ovvie considerazioni, nella serie si riscontravano delle importanti novità strutturali. Fino a quel momento era prevalente o una narrazione orizzontale (come nella serialità all’italiana: lo sceneggiato televisivo) o verticale dove ogni episodio è autosufficiente anche se l’ambiente nel quale è inserito resta lo stesso come – per fare esempi noti: Star Trek, Colombo, La casa nella prateria. Il nuovo modello comprendeva invece un intreccio fra narrazione orizzontale e narrazione verticale consentendo una diversificazione dei vari episodi ognuno dei quali poteva essere visto come un “racconto” autosufficiente (anche se inserito nella progressione della diegesi orizzontale). Questo nuovo modello, che talvolta (ma non sempre), fa uso dei cliché della cosidddetta “serie serializzata” nella quale un episodio finisce dove inizia quello successivo, si è poi evoluto ulteriormente nel corso degli anni Novanta. Ciò che mancava a Twin Peaks, produzione per molti versi sperimentale, era lo sviluppo dinamico in lunghezza. Tuttavia la stagionalità nel senso moderno (non mera replica di serie di episodi ma season vera e propria nel senso moderno) vi era già abbozzata: la serie era composta di 30 episodi suddivisi in due stagioni. Per questo motivo non poteva entrare nella più antica e tradizionale forma delle miniserie prodotte da tempo dalle majors televisive americane ed europee, come Radici (ABC, 1977: 6 episodi, 8 in Italia); Olocausto (NBC, 4 episodi 1978); Uccelli di rovo, (ABC, 1984, 4 episodi). Queste erano simili agli “originali televisivi” delle TV europee, italiana compresa. Questo aspetto sarà sviluppato nel corso degli anni Novanta.

La serialità alla Twin Peaks, la sua “orizzontalità”, ha rotto la verticalità inducendo sviluppi importanti in serie di grande successo prodotte negli anni Novanta. Come X Files (Fox, 1993-2002) e ancora E.R. (NBC, 1994-2009), Le avventure del giovane Indiana Jones (ABC, 1992-1996) o La signora del West (CBS, 1993-1998).

La signora del West
Foto di famiglia

Tutte queste produzioni presentano un’accentuata linea orizzontale, episodi molto verticali e minore cura delle linee stagionali. Nel contempo, il decennio ha visto un costante aumento tanto della qualità quanto della qualità delle serie televisive e un incremento degli investimenti con conseguente miglioramento dei cast tecnici e artistici. Quel che è certo è che tutte queste serie hanno risentito del nuovo concetto di serialità introdotto da Twin Peaks. L’invenzione del digitale, la realizzazione di apparecchi televisivi con audio e video sempre più definiti oltre che di grandi dimensioni ha rafforzato i canali provati (“commerciali”) e quelli via cavo creando un pubblico disposto a pagare per vedere spettacoli meno convenzionali e più raffinati. Le televisioni inizialmente via cavo e poi passate al digitale come HBO (fondata nel 1972) o AMC (1984) sono state un importante ambiente di sviluppo delle nuove serialità.

Agli inizi degli anni Duemila sono state prodotte serie che hanno segnato un ulteriore punto di svolta. Fra tutti bisogna segnalare I Sopranos (Hbo, 1999-2007), che privilegia la scrittura, la qualità dei dialoghi e l’ironia accentuando tempi lenti e non convenzionalmente televisivi; Six Feet Under (HBO, 2001-2005), storia intrisa di humor nero di una famiglia che gestisce una funeral house e The Shield (2002-2008). Probabilmente la primogenitura del nuovo modello viene inaugurato dalla serie dedicata alla famiglia I Sopranos ma la sua espressione più compiuta la si vede nelle altre due serie, considerando che The Sopranos ha un andamento talvolta da sit-com con molti interni e primi piani come nelle vecchie serie. The Shield sviluppa un racconto in 7 stagioni e intreccia una linea diegetica orizzontale che copre tutto l’arco del serial e porta ad un finale che è effetto delle cause mostrate nei primi minuti della serie (il poliziotto Vic Mackey, capo di un gruppo ha ucciso un collega e tre suoi amici lo sanno). A queste linea principale è stato agganciato un racconto orizzontale diversificato per stagione (b). Il terzo livello narrativo, invece, è verticale; si tratta di vicende ogni volta diverse che ruotano attorno al quartiere di Los Angeles dove la serie è ambientata. Ecco dunque che i singoli episodi richiamano il dramma originale, che inizia nella prima serie (series), fanno avanzare il tema specifico di ogni stagione (season) alternandolo con le storie “verticali” (episode). Questa compresenza di tre livelli, intrecciati frequentemente con linee di trama e montaggio alternato, rende gli episodi velocissimi, incalzanti, privi di pause. Con grande abilità gli sceneggiatori, guidati da Shawn Ryan, sono riusciti a tenere assieme tutte le linee; il crimine con cui la storia si apre con la sua eredità di dolore torna a rovinare la vita dei quattro poliziotti corrotti in toni da tragedia. Questo nuovo tipo di serialità ad un tempo coesa sull’arco diegetico principale e “staccata” nei singoli episodi ha fatto scuola. È stata infatti riprodotta nella struttura profonda di altre serie con alta qualità di scrittura, sceneggiatura e regia, tutte premiate e apprezzate dalla critica più esigente.

Altra serie di grandissimo successo e spesso di alta qualità è stata Crime Scene Investigation, soprattutto la prima ambientata a Las Vegas (CSI Las Vegas, 2001-2014, che ha dato vita a tre spin-off con centinaia di episodi). Qui la linea orizzontale primaria è poco robusta ma esiste. Si segue l’evoluzione dei rapporti dei membri dello staff della polizia scientifica di Las Vegas ma la dimensione verticale, quella della risoluzione dei singoli casi per episodio (in genere 2 casi), è prevalente. L’innovazione di questa serie è soprattutto nel dècor, nelle scenografie e nei colori. La cura della fotografia e degli aspetti visivi sono stati un ulteriore passo che, nel corso del primo decennio degli anni Duemila, ha avvicinato le produzioni televisive a quelle cinematografiche. Alcune stagioni di CSI Las Vegas (la 6, la 7, la 8) hanno introdotto una linea di season con risultati interessanti. La serie Lost (ABC, 2004-2010) ha utilizzato tutte queste innovazioni introducendo anche un gioco di scomposizione del racconto che costringe lo spettatore a immaginare, a legare fatti apparentemente sconnessi. Molto felice ma nelle prime tre serie, la novità è andata via via perdendosi e la confusione narrativa – lamentata dagli stessi spettatori e confessata dagli sceneggiatori – ha causato l’interruzione della serie. Gli stessi autori hanno replicato con alcune serie di fantascienza, tra cui Fringe (Fox, 2008-2013) che gioca allo stesso modo alla scomposizione ed è stata prudentemente, e con successo, tenuta sulle cinque seasons.

In questi stessi anni, tra le serie meglio scritte, secondo il giudizio della W.G.A (Writers of America) troviamo, ai primi posti, oltre a serie classiche e sit-com umoristiche troviamo capolavori autentici come The Wire (HBO , 2002-2008), Mad Men (AMC, 2007-2015), accuratissima e raffinata ricostruzione del mondo della pubblicità di Madison Avenue tra anni Sessanta e Settanta; il western Deadwood (HBO, 2004-2006); il legal thriller Damages(2007-2010) intepretato da Rosy Byrne e Glenn Close già coinvolta in The Shield.

Di tutte queste serie e di altre più recenti si può dire che è presente più la lezione e la struttura a tre livelli di The Shield che quella di Twin Peaks. Del tutto originale, anche se in esso è presente unicamente la dimensione orizzontale della singola stazione, più qualche evoluzione di stagione in stagione che abbozza il destino del personaggio è 24 (2001-2010 e 2014) dove ogni serie racconta minuto per minuto una giornata di 24 ore. La serie è infatti divisa in 24 episodi da circa un’ora ciascuno 43 per la precisione (i minuti che mancano sono coperti dalla pubblicità) con alta tensione, cliff (punti di massima tenzione, in genere posti a fine episodio) molto alti e grande capacità di tenuta. La serie, dalle caratteristiche così singolari, è rimasta ad alti livelli almeno per 7 stagioni per poi calare. Tuttavia l’eredità che ha lasciato ha consentito – caso del tutto eccezionale in questo genere di produzioni – una ripresa 4 anni dopo la prima cancellazione. Nella prevalenza di serie drammatiche (a parte sit-com come Friends) spicca per longevità e successo anche Casalinghe disperate (2004-2012) produzione che, a dispetto dell’infelice titolo, è stata scritta e realizzata con notevole maestria risultando in un mèlange sapiente di humor nero, mistery, giallo e critica sociale. Assieme a Lost e, in secondo luogo, a Grey’s Anatomy, Casalinghe disperate ha salvato la rete americana ABC in crisi di ascolti.

Alla fine del primo decennio del XXI secolo è iniziata la produzione di serie che hanno anche mutato il linguaggio televisivo avvicinandolo a quello cinematografico. Se ancora negli anni Novanta e in parte degli anni 2000 erano ancora prevalenti primi piani, piani americani e totali (I Sopranos) con qualche panoramica o piano lungo, in seguito è stato sempre più utilizzato un linguaggio cinematografico compiuto anche per le serie televisive, con lunghe carrellate, piani sequenza, piani lunghi e panoramiche. Questo mutamento, dei quali si stanno vedendo i primi effetti – assieme all’uso sofisticato di effetti speciali in CGI – è già evidente in serie come Il trono di spade Walking Dead o, su un livello più popolare, S.h.i.el.d e simili serie di fantascienza. Le vecchie serie fantastiche come Streghe (1998-2006), infatti, o Buffy l’ammazza vampiri (WPA/UPN, 1997-2003) erano ancora concepite secondo il linguaggio televisivo convenzionale con molti interni e primi piani. L’avvicinamento delle serie TV ad alto budget al cinema, con il vantaggio dello sviluppo temporale, è destinato ad accentuarsi. Numerosi professionisti dei cast tecnici e artistici – anche premi Oscar – passano dal cinema alla televisione e il peso dei premi televisivi (gli “Oscar” della televisione come i “Grammy Awards”) si sta facendo sempre più evidente. La diffusione sempre più massiccia dell’alta definizione (1980×1024 e 2k e soprattutto al 4k che consente lo sfruttamento di schermi di grandissime dimensioni) e conseguentemente di schermi televisivi vicini o superiori ai 50 pollici sino ai 100.

Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone si è laureato in Lettere all’Università degli Studi di Milano, specializzandosi in Storia del Rinascimento. È romanziere e saggista. Insegna Scrittura Creativa all’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia. Ricercatore storico e studioso di storia dell’immaginario e delle idee, ha pubblicato molti libri e centinaia di articoli, collaborando con mensili, settimanali e quotidiani.

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