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Il Manoscritto di Stephen Greenblatt

Il Manoscritto, ennesima opera metastorica di Stephen Greenblatt, sottotitolo Come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea (Rizzoli Editore 2012), è un saggio pluripremiato edito nel 2012 dalla Rizzoli. Stephen Greenblatt è docente di letteratura inglese alla Harvard University. Critico letterario e fondatore del “New Historicism”, espressione di studiosi che basano la rilettura storica in prevalenza sui testi letterari, rispetto ai documenti d’archivio (H. Aram Veeser, The New Historicism, Introduction, 1989).

H. Aram Veeser, The New Historicism, Il Manoscritto di Stephen Greenblatt
H. Aram Veeser, The New Historicism

Sapientemente scritto con il piglio narrativo di un romanzo (si sa, in America la divulgazione fa coppia con educazione delle masse) IManoscritto racconta la storia del ritrovamento del poema De Rerum Natura del poeta e filosofo latino Lucrezio da parte del segretario papale Poggio Bracciolini fuggito da Roma dopo gli eventi che travolsero l’antipapa Giovanni XXIII, al secolo Baldassarre Cossa, cancellato dall’elenco dei papi per tutto quanto di deprecabile era riuscito a combinare in vita.

Nell’inverno del 1417 il Bracciolini, avido ed esperto cercatore di manoscritti antichi, si reca in un’abbazia in Germania, a Fulda, e si imbatte nell’obliato poema lucreziano, per l’appunto il De Rerum Natura, composto a metà del I secolo a. C. sulla scia della passione dell’autore latino per Epicuro (con una sostanziale differenza tra i due e cioè che Epicuro seppe placare i suoi malesseri esistenziali, mentre Lucrezio morì suicida a 44 anni).

Il Bracciolini si rende immediatamente conto della portata del suo ritrovamento letterario, almeno così ci riferisce Greenblatt, anche perché è uno che l’invito a godersi la vita lo prende molto sul serio (ha 14 figli con le amanti e 5 con la moglie).

La tesi che l’autore sostiene nel suo saggio è che il Bracciolini, nel rinvenire il De Rerum Natura, avrebbe riportato alla luce «un libro che avrebbe aiutato nel tempo a smantellare tutto il suo mondo»; (Il Manoscritto, Prefazione).

In una società soffocata e oppressa dalla paura della morte, dal terrore dell’inferno, dell’aldilà e dal mito della sofferenza Lucrezio, secondo l’autore, non poteva avere posto. Discepolo culturale dell’epicureismo, il poeta latino nega l’immortalità dell’anima, invita ai piaceri della vita, all’eros che tutto consola e lenisce; sollecita a vivere per l’attimo e per il “piacere del piacere” vista l’impossibilità dell’uomo nel controllare gli eventi, anzi, essendo vittima degli stessi: «timefàctae rèligiònes èffugiùnt animò pavidàe mortìsque timòres»; («fuggano dall’animo le religioni paurose, e le ansie della morte», De Rerum Natura, Proemio).

Per questo l’opera di Lucrezio, assicura Greenblatt, sarebbe stata sistematicamente avversata dalla “Chiesa oscurantista” poco propensa a che i cristiani godessero di qualche felicità terrena in virtù di quella vita eterna che avrebbe ripagato l’uomo d’ogni rinuncia e tribolazione. Per questo il ritrovamento fortunoso del poema, da parte del Bracciolini, avrebbe cambiato il corso della storia; una sorta di “miracolo materialista” prodromo della rivoluzione culturale del Rinascimento; periodo in cui gli uomini si sarebbero liberati dalle “religioni che fanno paura”, in favore di una materialità affrancata dai limiti della trascendenza; uomini che da quel momento, in luogo di essere chiamati figli di un dio lontano e indifferente, forse inesistente, sarebbero diventati finalmente parte del cosmo; fatti della stessa materia delle stelle, non divini, dunque, ma materiali, non votati all’eterno, ma al piacere del momento da vivere nel modo più significativo possibile.

Greenblatt rintraccia l’influenza lucreziana nell’astronomia di Galileo e nella fisica di Newton, in Aonio Paleario e nell’immancabile Giordano Bruno (che di certo apprezzava opere in cui l’anima fosse dichiarata mortale, anzi anche meno, bestiale); e poi ancora nelle opere di Shakespeare, di Machiavelli, di Tommaso Moro, Leopardi, Kierkegaard, Camus e persino in Thomas Jefferson, che da Lucrezio avrebbe tratto la famosa frase sulla “ricerca della felicità” impressa nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America.

Per il saggista l’umanità attraverso il De Rerum Natura si sarebbe liberata dalla superstizione del monoteismo e dalla schiavitù da angeli, demoni, dal timore verso la divinità, dalla morte, dal Bene e dal Male. La sua posizione (non supportata da fonti storiche, ma solo da tracce in opere di ingegno letterario) non sorprende, se si considerano le premesse, nelle quali il professore di Harwad ammette di essere stato fortemente condizionato dalla madre ebrea che gli aveva inculcato il terrore della morte con una compulsione quasi ossessiva. Non stupisce affatto che un uomo bombardato dal terrore della fine, ponga sul trono del cambiamento culturale l’opera di un Lucrezio, che quella morte semplicemente suggeriva di evitarla non contemplandone la presenza e l’imminenza.

Galileo Galilei

Peccato però che da Keplero a Boyle, da Galileo Galilei a Benedetto Castelli, da Leibniz, Pascal, Volta e poi Einstein, da Newton a Mendel la storia è piena di devoti cristiani e credenti e geniali scienziati che pur guardando all’aldilà hanno indagato degnamente i misteri della scienza e del Cosmo e che non hanno trovato ostacolo alcuno nel “mitologico” oscurantismo ecclesiastico.

La tesi del saggio, così come si presenta, riguarda inevitabilmente la raffinata espressione di élite sociali, politiche ed economiche (oggi come anche nel Cinquecento) dove l’essere, l’agire, i valori e gli ideali di vita corrispondono all’esigenza di coloro che ritengono di essere, per un qualche motivo di misteriosa elezione, l’espressione della civiltà del loro tempo, cosa che comporta una rimozione di quel resto di umanità che in tale visione edonistica della vita non potrebbe proprio rientrare. Tuttavia senza questa rimozione degli “scarti” sociali, culturali, economici il messaggio del libro non regge nemmeno sul piano dell’epicureismo, riducendosi a una mera svalutazione dei valori spirituali che hanno generato alla vita la civiltà contemporanea.

Il testo risulta fluido, ben scritto, astuto, seducente, ma alla fine fine si riduce a una riscrittura del mito umanista per cui, grazie all’eroismo di alcuni pensatori e scrittori (martiri del pensiero unico religioso), l’uomo si sarebbe liberato dai secoli di bui del dominio dell’Ecclesia. Il lettore più smaliziato non può non sospettare che Poggio Bracciolini sia una sorta di alter ego che Greenblatt usa per esempio per criticare il sistema monastico, descrivendolo similmente a un carcere punitivo, e osannare invece la cultura classica, in special modo quella romana con gli spalti del Senato che diventano emblema della democrazia e della libertà di pensiero. Per Roma Antica, è risaputo, gli americani nutrono una grande ammirazione, ignorando evidentemente che nel democraticissimo senato romano, se uno non era d’accordo lo si faceva fuori con una trentina di coltellate.

Vania Russo

Laureata in Lingue e letterature straniere e specializzata in Etnografia e Storia delle tradizioni popolari. Già freelance per diverse testate giornalistiche italiane, si interessa di cybercrime, storia dello spionaggio, storia e romanzo storico. Per diversi anni segue master e corsi di narratologia, specializzandosi nell’insegnamento della scrittura creativa e formandosi quale lettore editoriale ed editor professionista preso la Scuola Dumas. Dal 2007 organizza corsi di scrittura creativa e lancia nel 2017 la pagina facebook The Ghost Reader, coordinamento per scrittori e lettori. Collabora con diverse associazioni culturali e case editrici in qualità di correttore bozze ed editor. Dal 2017 collabora con Il Timone, Istituto di Apologetica. Ha all'attivo la pubblicazione di diversi romanzi con varie case editrici.

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