Herman Melville: l’Uomo di Fiducia e l’innocenza perduta.
«Un primo aprile al levar del sole, sul molo della città di St. Louis fece improvvisamente la sua comparsa […] un uomo con un vestito color panna. […] Dalle scrollate di spalle, dai risolini, dai mormorii di meraviglia della gente, era chiaro che si trattava di un forestiero, nel senso più completo del termine» (Herman Melville, L’Uomo di fiducia, edizioni e/o, 2013, p. 9).
Così Herman Melville (1819-1891) introduce il protagonista del suo ultimo lavoro da narratore, The Confidence-Man, romanzo che chiude la sua carriera di scrittore nel 1857. L’arrivo del misterioso straniero vestito di bianco apre la scena di una storia in cui tanti personaggi si avvicendano sul palco rappresentato da un battello, il Fidèle, che leva gli ormeggi dal porto di St. Louis per discendere le acque del Mississipi, navigando dall’alba al tramonto del primo aprile (giorno burlesco, carnevalesco, apice annuale mistificante), verso New Orleans.
La vita è un palcoscenico
Tempo e spazio sembrano divenire evanescenze non appena l’Uomo di Fiducia, il Con Man, mette piede sull’imbarcazione e inizia ad assumere molteplici identità, articolando intrighi e imposture ai danni degli altri passeggeri, interpretando Black Guinea, lo storpio di colore che elemosina monete; il presidente del Back Rapids Coal Company, speculatore finanziario; Frank Goodman, che finge misericordia per truffare un malcapitato gentiluomo; un medico che cerca di convincere gli ammalati a utilizzare il suo risanante toccasana Omni-Balsamic Reinvigorator… A distanza di più di un secolo permane la sensazione che Melville abbia voluto recuperare il concetto di «vita-palcoscenico» suggerito da William Shakespeare (1564-1616) per costruire un’opera che inscenasse l’anti-sogno americano.
Pagina dopo pagina, la trama di The Confidence-Man si assottiglia sempre di più, fino a essere ingoiata del tutto dalla struttura dialogica, come fosse un racconto orale. Una rappresentazione che anticipa il teatro dell’assurdo, che ne pre-codifica le condizioni, le allusioni oscure, il disagio. Qui non c’è traccia degli epici paesaggi descritti in Moby Dick (1851); il West – cuore del mito americano – è silenzioso, come fosse un’impressione, un’irrealtà, mai veramente descritto, scompare nel momento in cui il Fidèle intraprende il viaggio lungo il Mississipi. Svanito lo spazio, si alzano le voci, e il romanzo diventa un coro di identità fittizie con le quali il protagonista realizza i suoi raggiri. L’America, la cui utopia si è sempre nutrita di geografie selvagge e di irraggiungibili frontiere, smette di essere un sogno da inseguire e diventa un rumorio da incubo che aleggia perfino sull’invisibile Mississipi su cui il battello – che è l’America stessa – scivola loquace di inganni.
Il tradimento americano
È la rappresentazione del tradimento della Grande nazione americana ai danni dei suoi figli, la contestualizzazione narrativa degli ingenti problemi sociali che affliggono il Paese e che Melville vive in prima persona: le guerre coloniali, l’illusione della corsa all’oro, la questione della schiavitù dei neri, l’integrazione degli irlandesi e dei cinesi, la povertà crescente nei sobborghi delle grandi città, i contrasti religiosi, le ampliate istanze delle minoranze, la relativizzazione già in atto dei valori. È un romanzo che parla dell’America cancellandone ogni traccia; che pone la fiducia nel protagonista fin nel titolo, The Confidence-Man, ma che fa perno sulla sua capacità di mistificazione. Alla fine tutti sono ingannati: i passeggeri del battello, gli americani, i lettori, perfino il protagonista, che finisce a sua volta per subire dei tentativi di imbroglio. Giocando con le parole, Melville costruisce un’abile trappola ermeneutica in cui realtà e finzione diventano indistinguibili: l’autenticità perde valore pagina dopo pagina, viene decostruita, così come decostruita è la retorica dell’ideologia dominante americana, che per Melville fa da sempre leva su capacità dialettiche per nascondere la verità.
I passeggeri del Fidéle non hanno nomi, solo minuti dettagli fisici che sono tracce appena percettibili di identità, piccoli appigli che non bastano a dare al lettore la solidità di reali rappresentazioni. Tutto è sfuggente: il dialogo è spesso sospeso, i racconti riportati sono privi di fonte o sentiti da altri, le informazioni vengono espropriate di qualunque referente certo. Il sentito dire predomina, e assume il valore di notizia certa. La narrazione si addensa in parole bivoche, contraddittorie e slegate dalla realtà.
L’innocenza perduta
L’identità del Con Man non viene mai svelata, egli nasconde fino all’ultimo lo sguardo dietro agli astuti camuffamenti, riflesso del Grande Ingannatore, (che cita le Scritture sovvertendone il significato per indebolire la fede dei credenti): «forestiero nel senso più completo del termine». Egli «è lo spirito inquietante della Storia, venuto a reclamare un tributo di sangue» (Paolo Simonetti, Questa mascherata potrà avere un seguito: rileggere The Confidence-Man attraverso gli adattamenti contemporanei), è il filosofo affabulatore che annuncia i tempi moderni, colui che dando alla verità qualunque significato, la svilisce di ogni significato. Nell’ultimo romanzo di Melville, e siamo nel 1857, risuona un sommesso avvertimento: la «confidence» (la fiducia), presto perderà del tutto la sua innocenza, diventando postmoderna.
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