fbpx

Il “tipografo” educatore collettivo

Le questioni di cultura non sono semplici giuochi di idee da risolversi astrattamente dalla realtà.
[Antonio Gramsci]

C’è una differenza tra il fare propaganda e il fare cultura? Qualunque esplorazione, anche non particolarmente sviscerante, del mondo della cultura (media, editoria, giornalismo) non potrebbe fare a meno di percepire il risuonare languido, nella caverna delle idee, di un’eco di propaganda. Lo dice anche Platone: se un uomo incatenato davanti al muro della caverna venisse infine liberato scoprirebbe che è il sole «a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.» (Platone, La Repubblica, libro VII, 516 c-d). Il grande filoso greco avverte anche che l’uomo libero, una volta tornato dai compagni prigionieri, farà fatica nel convincerli della realtà dei fatti, ovvero dell’effettiva natura delle immagini che essi sono abituati a vedere nel fondo oscuro della caverna e che sono convinti essere l’unica verità possibile. Ma chi ha incatenato gli sventurati in fondo all’oscura caverna fin dalla nascita, bloccando loro le membra, la testa e il collo «in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro»? E perché?
«Sicuramente non può esserci liberazione senza libertà di informazione», dichiaravano un tempo gli intellettuali antifascisti brandendo le loro penne, e avevano perfettamente ragione, eppure oggi il rapporto fra testate giornalistiche e partiti politici è assiomatico, il che ci dice che non abbiamo fatto poi tanti passi avanti. Ma se il rapporto fra carta stampata e politica è quanto mai morboso ed evidente, quello fra editoria e propaganda lo è altrettanto? Il mercato dell’intrattenimento letterario – che altro oggi l’editoria fa fatica a proporre – è solo accondiscendenza alla domanda e all’offerta oppure è un grande gioco di «educazione collettiva»?

L’EPIFENOMENO DE LA CANZONE DI ACHILLE

Entriamo nella caverna, prendendo fra le mani, almeno simbolicamente, un epifenomeno letterario degli ultimi due anni, un romanzo che, dal 2019, si è imposto all’attenzione della massa dei lettori, o meglio, dei lettori di massa. Si tratta di un’opera di chiaro revisionismo mitico (in chiave femminista) recuperata, per così dire, dopo un primo passaggio commerciale non particolarmente brillante, avvenuto nel 2011, e riportata alla ribalta, appunto, nel 2019: La canzone di Achille (The song of Achilles) di Madeline Miller, attivista femminista che della storia della letteratura ama sottolineare che «Le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo o piangiamo» (attribuita su Frasicelebri.it). Secondo la vulgata pop, il successo attuale del testo sarebbe dovuto al tam tam dei social, soprattutto TikTok, tanto amato dagli adolescenti, piattaforma su cui «Una booktooker ha postato La canzone di Achille all’interno di una lista di consigli di libri per piangere e, da quel momento, il libro è diventato virale e le vendite sono schizzate negli Stati Uniti. C’è voluto poco, e la storia d’amore tra Achille e Patroclo (questa la trama al centro del romanzo) ha conquistato anche i lettori e le lettrici (specialmente adolescenti) in Italia» (IlLibraio.it). Insomma, un libro consigliato perché fa piangere: è già un buon punto di partenza, direbbe qualcuno. Del resto si sa che l’emotività degli adolescenti è «disorganizzata», per utilizzare un termine caro agli addetti ai lavori, e passano dal boom emotivo all’alessitimia con la stessa naturalezza con cui mangiano un gelato. Per i nostri ragazzi è così: odi et amo. Lo sanno molto bene quelli che hanno iniziato a collocare una certa produzione libraria nel genere noto come Young Adult, una carrellata di libri fotocopia, pseudo romanzi di crescita, che esaltano le turbe adolescenziali, gli amori impossibili, le dipendenze di vario tipo, la bellezza del liberarsi da questi deprecabili e inutili adulti che sanno solo imporre regole su regole, limitando la libertà individuale e, soprattutto, sessuale.

UN GENERE LETTERARIO PER ADOLESCENTI: YOUNG ADULT

In un articolo pubblicato sul Corriere della Sera (Il Club Della Lettura), Cristina Toglietti dà una definizione tagliente e arguta dello Young Adult mettendolo in relazione con il New Adult (cioè il passaggio editoriale successivo) ovvero quel «territorio, nell’editoria contemporanea, in cui il binario 9 e 3/4 di Harry Potter non porta alla scuola di magia di Hogwarts ma nella stanza proibita di Cinquanta sfumature di grigio. Si chiama New Adult ed è l’ultima etichetta che il marketing americano ha inventato per sfruttare l’onda lunga di un fenomeno, quello dei lettori adolescenti che negli ultimi anni hanno spesso salvato i bilanci delle aziende editoriali e ora stanno “invecchiando”», e aggiunge: «Ai lettori (perlopiù donne) di questo genere i palpiti del cuore dei primi appuntamenti raccontati da molta narrativa Young Adult non bastano più, si cercano atmosfere hot e sesso (quasi) esplicito. Lo svolgimento è quello classico del romanzo rosa […]. Il finale è quasi sempre scontato, dominano amore e romanticismo perché, per quanto le etichette possano cambiare, siamo pur sempre nell’ambito della narrativa rosa». Per cui, come detto, si tratta di tutti quei romanzi che un tempo entravano nelle librerie in ordine sparso o con etichette di generi narrativi più o meno riconoscibili (fantasy, romance, giovanile, crescita, urban fantasy…) pensati per un pubblico di ragazzi, e che oggi vengono catalogati come Young Adult, in realtà un genere ibrido che innesta in altri generi conosciuti (storico, epico, fantasy, urban fantasy, giallo…) degli argomenti standard: amore, sesso, amicizia, droga, scuola, voglia di avventura e ribellione verso l’autorità.

IL PATROCLUS DI CORICIO

Dispute between Achilles and Agamemnon. Scene from the Greek mythology. Wood engraving, published in 1880.

Tornando alla Canzone di Achille, classificato oggi come Young Adult LGBTQ+, il romanzo sviluppa il tema, nemmeno tanto originale diciamolo pure senza falso candore, della relazione omoerotica fra Achille e Patroclo; relazione per molti attestata da svariate fonti – Eschilo con i Mirmidoni, Platone con il Simposio; ma anche Senofonte, il quale, invece, esclude relazioni amorose e fa riferimento all’ideale epico cameratesco tipico anche delle poesie mediorientali contemporanee all’Iliade. Ma, fra le tante opere che sfiorano la coppia omerica a vario titolo, c’è anche il caso rarissimo del Patroclus di Coricio, esegeta e oratore omerico della scuola di Gaza. Il Patroclus è un discorso retorico costruito affinché il declamatore, assunta la maschera di Patroclo, riesca a persuadere un interlocutore, Achille, per fargli cambiare idea, ovviamente in merito al suo ritorno in battaglia. Il discorso gira intorno alle virtù guerriere e all’onore del Pelide e allo stato drammatico in cui versano le truppe Achee, ormai frammentate e incapaci di continuare l’assedio di Troia. Con buona pace della Miller, che a Patroclo assegna una languorosa e sdilinquita voce in io narrante, è proprio Coricio, il grande retore di Gaza, ad aver dato parola da protagonista per la prima volta all’eroe acheo, almeno per quanto ne sappiamo fin qui. La novità non è da poco, considerando che era sempre stato Achille a fare ramanzine a Patroclo, arrivando a definirlo bambinetta: «Perché piangi, Patroclo, come una bimba piccina che corre accanto alla madre e chiede di essere presa in braccio» (Hom., Il. 16, 2-11). Coricio aggiunge un altro dettaglio interessante al rapporto fra i due, e «a differenza di Omero, segnala che il Pelìde non ha capito la ragione di tale pianto e spiega, così, per quale motivo arrivi a irriderlo paragonandolo ad una femminuccia» (Matteo Deroma, Rilettura ed esegesi omerica alla Scuola di Gaza: Il caso del Patroclus di Coricio, Approches historiennes des images (I), pp. 151-184). Il Patroclus corniciano quindi «risponde alla critica che l’amico gli ha rivolto, di essere simile a una fanciulla piagnucolosa», ribadendo la propria virilità: «Credevo, Achille, che lo scorrere a rivoli delle mie lacrime spegnesse la tua ira – sarebbe, infatti, terribile che Ettore incendiasse le navi dei Greci e tu incendiassi in cuor tuo contro costoro – ma tu ti sei a tal punto distaccato dal mio pensiero da deridere i miei lamenti e da paragonarmi ad un bimbo piagnucoloso e, insulto peggiore di tutti, ad una bambinetta, che rincorre per strada la madre e ne afferra la veste, così da costringere la genitrice a camminare più lentamente, in modo che la porti in braccio. Tale è l’immagine che hai di me per il fatto che ho pianto un fraterno esercito che ha affrontato sciagure, insuperabili se tu non fossi riconciliato» (Chor., op. XXXVIII (= decl. 10), p. 437, 7-438, 3 F. / R.).

IL FILTRO DELL’ANACRONISMO

In altre parole, la grande novità introdotta da Coricio, rispetto al Patroclo iliadico, è l’amplificazione del personaggio, guarda caso proprio in termini di epicità, consapevole autorità e virile audacia persuasiva, esplicitata dalla richiesta di poter condurre lui stesso gli Achei in battaglia, rischiando la vita pur di essere fonte di rinnovato coraggio per i compagni atterriti dal ritiro del Pelide furioso. Esattamente l’opposto di quanto fatto dalla Miller che, da ligia femminista, provvede a sbiadire la virilità dei due eroi, in origine abbrutiti dalla tipica predazione sessuale maschile di un aplomb troppo patriarcale, e ad attualizzarne la personalità e il profilo, imponendo il potente filtro ideologico dell’anacronismo che irretisce e cancella i tratti del passato, soprattutto perché rivolto ai più giovani e, dunque, più vulnerabili a certi tipi di operazioni culturali.

IL CONSENSO COSTRUITO

Tormentoni social a parte, perché il romanzo che nel 2011 non aveva fatto registrare alcun particolare successo di pubblico oggi ha scalato le classifiche di vendita? Cosa è cambiato nel frattempo: il testo è stato revisionato e migliorato? No, lo stile è ancora quello commerciale, semplice ed emotivo della prima versione e i temi sono sempre quelli iniziali: omosessualità, difficoltà adolescenziali, critica al patriarcato, antimilitarismo. Di fatto, a cambiare non è stato il libro, bensì i lettori o, per meglio dire, la percezione che i lettori hanno dei temi trattati e dello stile utilizzato, oltre che del successo planetario del genere Young Adult, ormai categorizzato come scelta commerciale precisa e indirizzata ai ragazzi fra i 12 e i 18 anni. Parliamo di un consenso costruito su una nuova etica condivisa, non di semplice passa parola sui social. La costruzione di un’etica condivisa è, per i comportamentisti come Richard H. Thaler – che nel 2017 ha vinto un Nobel con l’economia comportamentale – un elemento chiave per evitare fallimenti – o ribellioni – rispetto a quanto di nuovo viene proposto. Insomma, strategie di marketing culturale che si innestano nella costruzione metodica e analitica del pubblico di riferimento. Il consenso costruito passa anche per l’editoria, cambiare la coscienza sociale permette di controllare le scelte del pubblico, in questo caso dei lettori della massa. Quando parliamo del libro della Miller, La canzone di Achille, come detto, possiamo dunque supporre che nel 2011 il pubblico non fosse ancora pronto per accogliere le istanze omosessuali e anti-patriarcali trattate come temi centrali dall’autrice, seppur con un linguaggio magro e flautato; oggi, evidentemente, sì. Almeno possiamo supporlo con un buon margine di ragionevolezza. I ragazzi di oggi, cui lo Young Adult della Miller si rivolge, non sono i ragazzi del 2011. Nel giro di pochi anni, infatti, le tematiche trattate dalla scrittrice femminista hanno conosciuto una rapida diffusione e sono state imposte al grande pubblico con una sovraesposizione mediatica.

L’EDUCAZIONE COLLETTIVA NEL NOVECENTO

L’utilizzo del mezzo culturale, in questo caso il romanzo, come atto di educazione collettiva non è un’invenzione della Miller né tanto meno di coloro che oggi ne fanno ampio uso. La costruzione del consenso avviene mediante calibratissime strategie culturali e multimediali, «vale a dire quelle strategie che progettano insieme un testo e il pubblico o i possibili pubblici di quel testo» (Daniela Betti, 1989, p. 54). Andando indietro nel tempo scopriamo che tali operazioni ideologico-culturali si radicano agli inizi del Novecento, o meglio, acquisiscono forma e sostanza di disegno sempre più intenzionale. Si moltiplicano cioè i sempre più fertili appelli al senso comune e ai valori condivisi, valori che, però, vengono cullati da una élite. Il 29 gennaio del 1916, la rivista Il Grido del Popolo (attiva dal 1892 alla seconda guerra mondiale) pubblica il monito accorato di Antonio Gramsci (1891-1937) proprio in merito al «potere nelle parole» e al «giornalismo integrale». Ogni mutamento della realtà, delle basi economiche, dell’etica ha bisogno di «riforme intellettuali» che siano promesse da una élite per poi essere estese alla massa. Il compito di divulgare le coordinate culturali volute da questa élite è assolto «o perlomeno perseguito, dagli organi di stampa, da una pubblicistica attiva e fattiva, da un sistema di giornali e riviste, congruenti e compatti nella condivisione dell’esistenza di uno scopo finale quella della “persuasione” – o in maniera più sfumata, quella della “educazione” ideologica – anche se ovviamente essi sono differenziati per scopo e nell’impiego delle armi atte a raggiungerlo» (Escher, p. 142).
L’editore va ad assumere, quindi, il compito di «educatore della collettività» e si consorzia con altri canali di comunicazione – oggi anche i social – perché il libro, da mero prodotto commerciale, possa fungere anche da diffusore – amplificatore, direbbe Bernays – di tutte quelle informazioni e di tutte le nuove narrazioni etico-morali e sociali che possano concorrere a «educare la massa». Difficile eludere il fatto che l’editoria in questione assolva, in questo caso, a una funzione ideologica, quella funzione che Gramsci, Togliatti (1893-1964), Gobetti (1901-1926) hanno ben in mente, quando varano le Edizioni Unità, le Edizioni Rinascita e, poi, gli Editori Riuniti. Produrre romanzi, o suscitare clamorosi fenomeni editoriali – come nel caso del blockbuster narrativo della Miller – non rientra forse nella necessità gramsciana di «una organizzazione di vendita […] strettamente legata all’indirizzo ideologico della merce venduta»? La cultura «socializzata» atta a trasformare le nozioni astratte in «azioni vitali» modificando anche l’ordine morale non passa oggi anche per le classifiche di vendita dei bestsellers? Nel 1955, Editori Riuniti pubblica I miei sette figli, di Alcide Cervi. La trama ha nel suo centro tematico e ideologico la storia d’amore di Marina e Mimmo Sereni, un uomo e una donna come tanti che sfuggono all’oscurantismo religioso e scoprono la nuova verità del socialismo, una vicenda che «si inserisce bene nella tradizione e, attraverso la potenza dei sentimenti, riesce a trascinare il lettore verso quei contenuti nuovi» e quei nuovi valori liberali che normalmente avrebbe respinto. I miei sette figli è un prontuario di educazione sentimentale socialista che conosce una diffusione straordinaria – più di 1 milione di copie – grazie al costo bassissimo (diciamo popolare) e alla poderosa campagna promozionale. Tra le istruzioni affidate ai militanti, incaricati di diffondere l’opera, c’è anche quella di «leggere almeno un brano che dia l’esatta impressione della forza emotiva dei libri» (Daniela Betti, p. 70). In altri termini è un tentativo di indurre il pubblico a credere in una realtà diversa, ad abbracciare qualcosa di nuovo, a simpatizzare con qualcosa di altrimenti respingente, mediante l’uso di narrazioni coinvolgenti, in modo che i lettori introiettino le istanze dei personaggi fino ad assorbirne i comportamenti, le idee, le motivazioni, l’etica, la morale… e così via.

ROMANZI E PROPAGANDA: DELITTO E CASTIGO

La costruzione del consenso e della nuova etica condivisa passa anche dal romanzo, perché «senza la parola, la storia sarebbe muta». Il linguaggio e le storie alludono sempre a una realtà (benché diegetica) che codifica e decodifica dei messaggi. Gli epifenomeni editoriali come La canzone di Achille non incideranno certo sulla storia della grande letteratura, ma contribuiranno a costruire quello che Gramsci definisce «la preparazione ideologica di massa […] una necessità della lotta rivoluzionaria, una delle condizioni indispensabili della vittoria» (A. Gramsci, Per una preparazione ideologica di massa, aprile-maggio 1925). Nel 1922, Walter Lippmann (1889-1974) scrive, nel saggio L’opinione pubblica, che la gente conosce e giudica il mondo attraverso le informazioni fornite dai mezzi si comunicazione: «Lippmann riteneva che i media accentuassero lo scarto fra i fatti e la loro rappresentazione, drammatizzando certi aspetti e ignorandone altri e rafforzando gli stereotipi» fabbricando così il consenso e alimentando «l’illusione del cittadino informato» (Foa, p. 23). Noi, dice Lipmann, «siamo praticamente impotenti di fronte ad una premessa falsa, che nessuno dei partecipanti abbia messo in dubbio, o di fronte a un aspetto poco noto, che nessuno di loro abbia portato in discussione». L’editoria non è forse coinvolta nel gioco di potere che proietta sul muro della caverna l’immagine del mondo più conveniente grazie alle strategia di propaganda e alle tecniche di persuasione di massa? A ciascuno spetta il poter rispondere; almeno questo.

Bibliografia di riferimento

  • Richard H. Thaler, Misbehaving: The Making of Behavioral Economics, New York: W. W. Norton & Company, 2005, (Ed. italiana: Misbehaving, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2018.
  • Enrico Escher, Il potere nelle parole. Il giornalismo “integrale” di Antonio Gramsci (pp. 141-167), Annali della facoltà di Scienze della formazione, vol. 3, 2004.
  • Daniela Betti, Il partito editore. Libri e lettori nella politica culturale del Pci 1945-1953, Italia Contemporanea, giugno 1989, n. 175, pp. 54-74.
  • Antonio Gramsci, Giornalismo, in Quaderni del Carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana, Torino Einaudi, 1975.
  • Madeline Miller, La canzone di Achille, Marsilio, 2019.
  • Omero, Iliade, nella traduzione del Monti.
  • Matteo Deroma, Rilettura ed esegesi omerica alla Scuola di Gaza : Il caso del Patroclus di Coricio, Approches historiennes des images (I), 32/2016.
  • Paola D’Alessio, Aspetti della tradizione manoscritta di Coricio di Gaza (IV), dicembre 2016.
  • Alfonso Catapa González, Patroclo, Guillermo Escolar Editor; 2020.
  • Gherardo Ugolini, Achille e Patroclo, Società Editrice La Scuola, Brescia, 1932.
  • Erik Agner, Economia comportamentale. Guida alla teoria della scelta, Hoepli, 2017.
  • Marcello Foa, Gli stregoni della notizia. Atto secondo. Come si fabbrica informazione al servizio dei governi, Guerini e associati, 2006.
  • Arnaldo Testi, L’illusione del cittadino informato: Walter Lippmann, 1922, 23 febbraio 2013.
  • Walter Lippmann, L’opinione pubblica, Donzelli, 2004.
  • La lotta con Proteo: metamorfosi del testo e testualità della critica. Atti del 16º Congresso A.I.S.L.L.I. (University of California, 6-9 ottobre 1997)

Vania Russo

Laureata in Lingue e letterature straniere e specializzata in Etnografia e Storia delle tradizioni popolari. Già freelance per diverse testate giornalistiche italiane, si interessa di cybercrime, storia dello spionaggio, storia e romanzo storico. Per diversi anni segue master e corsi di narratologia, specializzandosi nell’insegnamento della scrittura creativa e formandosi quale lettore editoriale ed editor professionista preso la Scuola Dumas. Dal 2007 organizza corsi di scrittura creativa e lancia nel 2017 la pagina facebook The Ghost Reader, coordinamento per scrittori e lettori. Collabora con diverse associazioni culturali e case editrici in qualità di correttore bozze ed editor. Dal 2017 collabora con Il Timone, Istituto di Apologetica. Ha all'attivo la pubblicazione di diversi romanzi con varie case editrici.

Potrebbero interessarti anche...

Lascia un commento