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Eugenio Corti: la forza della verità – seconda parte

Eugenio Corti sodlato
Eugenio Corti soldato

Il liceo per Corti e i suoi coetanei – i giovani del ‘21 – si interrompe improvvisamente, diventando un’esperienza sospesa, imprigionata nei nuovi scenari politici in cui l’Italia è letteralmente precipitata: è il 20 giugno del 1940, per il Paese è l’ingresso effettivo nella seconda guerra mondiale. Corti viene a sapere che non sosterrà più gli esami di maturità. Sono momenti convulsi, spietati per chi, come lui, è alla ricerca delle motivazioni profonde e ‘alte’ delle cose. Agli studenti viene concesso di proseguire gli studi, ma alla classe di Corti viene imposto di presentarsi alle armi, dietro richiesta della Gioventù fascista universitaria, della quale scrive: «Io non avevo simpatia per quell’organizzazione, ma ho trovata giusta la richiesta, visto che i miei compagni operai erano sotto le armi. Perché non avremmo dovuto andare anche noi studenti?» (Paola Scaglione, op. cit., pag. 19). Sono giorni che segnano la vita dello scrittore e di fatto entrano nel flusso polifonico dell’Opera maggiore, Il cavallo rosso, con precisione archivistica.

Arriva la guerra

Nel febbraio 1941, si reca alla caserma del Ventunesimo reggimento artiglieria divisionale a Piacenza, dove si addestra per sei mesi; per altrettanti sarà alla Scuola allievi ufficiali di Moncalieri, a Torino, dalla quale uscirà con il grado di sottotenente. La guerra avanza, le lettere alla famiglia segnano il passo del suo progredire spirituale e materiale nel disumanizzante conflitto bellico; a quel punto si annida in lui un’idea sconvolgente per chi lo circonda: Corti vuole andare in Russia, e vuole andarci per toccare con mano la realtà del Comunismo. Prega Dio e supplica i suoi superiori di consentirgli quell’esperienza, vuole vedere di persona in cosa consista il «gigantesco tentativo di costruire un mondo nuovo, completamente svincolato da Dio, anzi, contro Dio, operato dai comunisti» (la stessa pulsione intellettuale e spirituale che porterà Michele Tintori, uno dei protagonisti de Il Cavallo Rosso, nei gulag sovietici).

Il fronte russo

Il fronte
Il fronte

Il sottotenente Corti viene accontentato e raggiunge il fronte russo nel giugno del 1942. Segue un periodo relativamente tranquillo, fino al 16 dicembre, quando inizia la «terribile ritirata» e il Corpo di armata presso il quale è distaccato resta prigioniero in una sacca. Lo scrittore racconta l’esperienza nelle lettere dalla Russia spedite a familiari ed amici tra il 1942 e il 1943 (E. Corti, Io ritornerò. Lettere dalla Russia 1942-1943, Edizioni Ares, Milano, 2015) e nel diario-cronaca I più non ritornano – capace di impressionare anche il severo Benedetto Croce, che scrisse in proposito parole di profondo encomio – nel quale si intrecciano già, in inquadrature di penetrante realismo, i primi fili poetici e stilistici di quello che sarà il suo più grande capolavoro, costruendo una trama che non è una trama, un saggio che non è un saggio, una narrativa che non è narrativa, in un’indagine letteraria oltre i confini da sempre tracciati del vero e del falso storico; pagine imbibite di esperienza personale che Corti riesce a universalizzare, innestandole nell’esperienza del Male, in un fronte di guerra che diventa non più solo battaglia geograficamente individuabile, ma umanamente trasfigurabile nel grande mistero del dolore che riguarda ciascun individuo.

Durante la ritirata Corti viene ferito. Dopo il suo rimpatrio deve trascorrere molto tempo come degente nell’ospedale Emma di Merano. Torna a casa, nell’abbraccio della famiglia, ma fatica a ritrovare un equilibrio, il dimenticare quanto ha visto gli è impossibile. A luglio i medici vogliono rinnovare la sua licenza per motivi di salute, ma lo scrittore rifiuta: da ufficiale vuole fare la sua
parte, combattere al fianco degli altri soldati, compiere il proprio dovere. Il giorno dopo si presenta al Deposito di Bolzano, dove resta diverso tempo, fino a quando, pochi giorni prima dell’Armistizio, il colonnello suo superiore lo invia «per particolare antipatia verso i reduci dalla Russia» a Nettunia con altri tre ufficiali, evitandogli così, del tutto involontariamente, di finire deportato in Germania a seguito delle rappresaglie dei tedeschi, che pochi giorni dopo avrebbero circondato il Deposito e fatti prigionieri gli Italiani. Anche Nettunia subisce le rimostranze tedesche, ma Corti riesce a fuggire (vicende narrate ne Gli ultimi soldati del re, Ares Edizioni, Milano, 1994) insieme al sottotenente Antonio Moroni di Bergamo, con il quale intraprende, poi, il viaggio verso il Sud allo scopo di unirsi all’esercito regolare che si sta ricostituendo in Puglia. Nel 1944 prende parte alla risalita dell’Italia, con il Corpo italiano di liberazione (esattamente come Manno, personaggio chiave ne Il Cavallo rosso).

In guerra sul fronte russo
In guerra sul fronte russo

Sono giorni convulsi e complessi, dei quali lo scrittore non dimenticherà mai il senso e le atmosfere, riportate fedelmente nel suo capolavoro. La conclusione del conflitto non porta certo alla pace: «Una delle realtà più tragiche dopo la guerra è stata la mattanza compiuta dai comunisti un po’ ovunque. Noi dell’esercito cercavamo di impedirla come potevamo, ma non si riusciva a fare molto. Anche i democristiani, che oggi fingono di non ricordare quei giorni atroci, cercavano allora di impedirla, ma quasi di nascosto, senza parlare forte e chiaro, per la paura anche loro accusati di fascismo. Sembrava di essere tornati all’epoca selvaggia della caccia all’untore descritta da Manzoni» (Paola Scaglione, op. cit., pag. 25). Il ritorno a casa definitivo di Eugenio Corti è difficoltoso, fatto di incubi ricorrenti, pensieri che riportano alla guerra, alle stragi, al vuoto assoluto di Bene che ha conosciuto in Russia: «Ero talmente esaurito dalla tensione nervosa che, per sei mesi, non sono stato in grado di fare niente, solo riposare» (Paola Scaglione, op. cit., pag. 26). Come tutti i reduci Corti vuole riprendere a esistere, riappropriarsi dell’aneddotica del quotidiano, stabilirsi in una frontiera accettabile di vivibilità: la famiglia, il lavoro, il fluire dei giorni senza il rumore di fondo dei bombardamenti, ma non ci riesce. L’esperienza della morte lo ha segnato, è stato un evento inumano e brutale, un tossico che gli scorre nell’anima e che lo costringe a pensare e ripensare continuamente a quanto ha vissuto; al rischio che la cultura occidentale – cristiana – corre.

Leggi la terza parte

Leggi la prima parte

Bibliografia

  • Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Edizioni Ares, 2015.
  • Eugenio Corti, Processo e morte di Stalin, Edizioni Ares, 2010.
  • Eugenio Corti, I più non ritornano. Diario di ventotto giorni in una sacca sul fronte russo. Inverno 1942-1943, Ugo Mursia Editore, 2004.
  • Eugenio Corti, Gli ultimi soldati del re, Edizioni Ares, 2015.
  • Eugenio Corti, Io ritornerò. Lettere dalla Russia 1942-1943, Edizioni Ares, 2015.
  • Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002.
  • F. Livi, Préface a E. Corti, Le cheval rouge, Lausanne-Paris.
Vania Russo

Vania Russo

Laureata in Lingue e letterature straniere e specializzata in Etnografia e Storia delle tradizioni popolari. Già freelance per diverse testate giornalistiche italiane, si interessa di cybercrime, storia dello spionaggio, storia e romanzo storico. Per diversi anni segue master e corsi di narratologia, specializzandosi nell’insegnamento della scrittura creativa e formandosi quale lettore editoriale ed editor professionista preso la Scuola Dumas. Dal 2007 organizza corsi di scrittura creativa e lancia nel 2017 la pagina facebook The Ghost Reader, coordinamento per scrittori e lettori. Collabora con diverse associazioni culturali e case editrici in qualità di correttore bozze ed editor. Dal 2017 collabora con Il Timone, Istituto di Apologetica. Ha all'attivo la pubblicazione di diversi romanzi con varie case editrici.

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