Eugenio Corti: la forza della verità – parte prima
Curiosamente, anche la letteratura è fatta di frontiere che mutano, si inoltrano, retrocedono, spaziano verso direzioni nuove e non sperimentate. La linea di confine è quasi sempre sormontata da qualcuno che sorveglia e protegge; o da chi ne impedisce il valico. Spesso, la paura del nuovo irrigidisce le geografie esplorative, le inibisce e svalorizza, rende fiacchi i tentativi di cambiamento. Eppure ci sono uomini che hanno oltrepassato confini difficili, violenti, fatali. E ci sono scrittori che hanno annullato le tradizionali linee di demarcazione tra le diverse regioni dell’estetica; uno di questi è Eugenio Corti.
I suoi scritti – Il cavallo rosso in modo particolare – scuotono chi ha sempre individuato un confine netto, e invalicabile, tra narrativa e saggistica. Per molti anni la linea di demarcazione tra i due generi è rimasta incontestata: i saggisti da una lato, con la loro rifinitura estetica facoltativa in un contenitore possibilmente alto, dal contenuto affidabile e rassicurante; gli scrittori dall’altro, con la loro inventiva, con le possibilità della sofisticazione, con la licenza poetica.
Tra narrazione e cronaca
Certo, l’alternanza saggio-narrativa non è un contrappunto del tutto nuovo nella letteratura, ma Eugenio Corti riesce, pur unendoli, a rinvigorire i due generi – che si suppone debbano essere distanziati tra loro dalla difformità tra il vero e il falso, tra il dato attendibile e l’artificio narrativo – dando a ciascuno la giusta partitura, in un susseguirsi di fatto storico e trama narrativa che adempie alle esigenze delle parti, perché laddove per altri la narrazione si riduce a una questione estetica, per Corti essa è accuratezza documentale, testimonianza del vero. Quello di Corti è un genere che scavalca i generi e li rende unici, aprendo la frontiera a direzioni nuove.
Una vita nella fede
Eugenio Corti nasce il 21 gennaio 1921 a Besana di Brianza, primo di dieci figli in una famiglia radicata in Brianza da sempre, e fiera del legame, per ramo paterno, con Papa Pio XI. Il padre Mario è un industriale dalla spiccata sensibilità umana, garzone a tredici anni in un negozio tessile, riesce negli anni ad acquistare la fabbrica in cui lavora, la ditta Nava di Besana. Uomo dalla profonda fede e abile commerciante, Mario Corti vive la sua posizione privilegiata di imprenditore come una missione «Il suo cuore era rimasto legato al mondo degli umili. Le continue richieste di lavoro, che egli poteva assecondare solo in parte, lo angosciavano, poiché sentiva come missione dell’industriale quella di creare posti di lavoro» (Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002, cit. pag. 17). Più schiva e silenziosa è invece la madre, Irma Bastetti, determinante per la formazione cattolica dei figli «Era una creatura fatta d’amore: per Dio, per la santa religione, per il marito, per noi figli, per il prossimo» (Paola Scaglione, op. cit. pag. 17).
L’infanzia di Corti è di fatto scandita dai ritmi rassicuranti, e quasi immutabili, della campagna brianzola, del lavoro onesto, della preghiera in famiglia. Frequenta le scuole in paese, insieme agli altri ragazzi e poi approda al collegio arcivescovile San Carlo di Milano, nel quale resta per dieci anni, periodo decisivo per la sua formazione umana e letteraria, grazie anche alle attenzioni a lui dedicate dal rettore, monsignor Cattaneo, il quale spinge il giovane verso gli studi classici, opponendosi con determinazione al padre Mario, il quale immaginava per Eugenio una vita da ragioniere nell’azienda di famiglia.
Gli studi e i logos narrativi
È grazie al liceo classico che il ragazzo Eugenio Corti entra in contatto con Omero «Quando in prima ginnasio mi sono trovato tra le mani le sue opere e ho cominciato a leggerle, ne sono rimasto totalmente conquistato. […] È stata un’esperienza fortissima, che ha influito per sempre sul mio modo di scrivere» (Paola Scaglione, op. cit. pag. 48). La lettura di Omero fomenterà nello scrittore
brianzolo la complessa estetica della maestosità alternata alla leggerezza, che Corti tradurrà nei suoi scritti con quella peculiare costruzione diegetica in cui la quotidianità si trasfigura di colpo in scene di tragica solennità, senza scollature con il vero storico e con l’uomo storico. Sarà proprio questo imprinting narrativo a condizionarne per sempre la scrittura, anche perché egli lo avvalorerà con le letture successive, come il Guerra e Pace di Lev Tolstoj (per Corti allievo moderno di Omero), o il grande romanzo storico di Alessandro Manzoni, del quale apprezzerà sopra tutto la capacità di guardare alla Trascendenza pur restando dentro le cose terrene, delle quali il Manzoni «tiene pur conto una ad una».
Bibliografia
- Eugenio Corti, Il cavallo rosso, Edizioni Ares, 2015.
- Eugenio Corti, Processo e morte di Stalin, Edizioni Ares, 2010.
- Eugenio Corti, I più non ritornano. Diario di ventotto giorni in una sacca sul fronte russo. Inverno 1942-1943, Ugo Mursia Editore, 2004.
- Eugenio Corti, Gli ultimi soldati del re, Edizioni Ares, 2015.
- Eugenio Corti, Io ritornerò. Lettere dalla Russia 1942-1943, Edizioni Ares, 2015.
- Paola Scaglione, Parole scolpite. I giorni e l’opera di Eugenio Corti, Edizioni Ares, 2002.
- F. Livi, Préface a E. Corti, Le cheval rouge, Lausanne-Paris,
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