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Flannery O’Connor: i prigionieri della libertà. (3)

«Tarwater rimase a sedere su un angolo del giardino, fissando accigliato l’oscurità, mentre la macchina si allontanava lungo l’isolato. Non alzò gli occhi al cielo ma era sgradevolmente consapevole delle stelle. Gli parevano buchi nel suo cranio, attraverso i quali una luce lontana e ferma l’osservava. Aveva l’impressione di essere solo, in presenza di un immenso occhio silenzioso».

The Violent Bear It Away, (1960, trad. it. Il cielo è dei violenti) è il romanzo della libertà che imprigiona, è l’espressione narrativa della prepotenza del libero arbitrio, l’esternazione terrorizzante e paradossale di un abuso di potere in nome della decisione personale. La libertà può diventare un allucinogeno capace di dissennare gli uomini, fino a impaurirli dinanzi all’«occhio silenzioso» che scruta dall’alto e che tutto vede. L’argomento è caro a Flannery O’Connor, che ne offre numerose riflessioni, affermando, per esempio, che «la libertà non è una cosa semplice da concepire», perché il libero arbitrio è disorientante e radicalmente estraneo alla natura umana, esso è «molte volontà a conflitto in un sol uomo» (cit. in Elena Buia Rutt, Il Mistero e la scrittura, p. 56).

Il cielo è dei violenti

The Violent Bear It Away (Il cielo è dei violenti) è per molti il suo capolavoro, storia di trascendenza e di positivismo, di acqua che salva e di acqua che uccide, di vento e di polvere, di presunta follia e di finta saggezza, di esperienza e di iniziazione. Di nuovo iniziazione, infatti, come nel primo romanzo, Wise Blood (La Saggezza del Sangue), anche qui il percorso del protagonista, l’adolescente Francis Tarwater (figlio illegittimo e orfano, dunque manchevole in qualche modo di una identità che lo radichi umanamente: «Sono nato in un disastro» dice di sé), è iniziatico: un’iniziazione profetica. Francis è il pronipote di Mason Tarwater, un predicatore protestante – o «dal forte tratto protestante» come scrive la stessa O’Connor in una lettera del 29 settembre 1960 a William Sessions – convinto di aver ricevuto da Dio il compito di battezzare Bishop, il figlio disabile di un pertinace maestro di provincia, Rayber, tra l’altro fratello della madre di Francis. Prima di morire, però, il vecchio Tarwater lascia proprio al pronipote il compito di adempiere alla missione che si è prefissato: il ragazzo deve battezzare Bishop e diventare profeta. Il giovane, cresciuto dal vecchio per essergli erede, ne è in qualche modo convinto. Egli «vede già il mondo con sguardo profetico» e sente una voce che lo spinge ad agire e, mano a mano che la storia va avanti, la medesima voce gli impetra una nuova convinzione: non c’è alcuna scelta a contrapporre Cristo e il Diavolo, perché quest’ultimo non esiste e dunque la scelta è, piuttosto, fra Cristo e la personale libertà di ciascuno; per questo nel finale della prima parte del romanzo, Francis si rifiuta di battezzare il bambino, in nome del libero arbitrio.

Francis tra cielo e terra

Chiesa gotica

La seconda parte si incentra sul dominio della ragione, sul mondo terrigeno e sugli ingranaggi dell’esistenza frutto di una meccanica congenita nell’uomo come essere vivente; insomma, sull’umanesimo un po’ prostrato e ferrigno che satura i discorsi di Rayber, tutti protesi a «far cambiare abito» al nipote, ma, proprio grazie alla superbia razionalista dello zio, Francis si è ormai deciso ad accettare il destino di profeta, e così conduce Bishop in barca fino al centro di un lago, dopo averlo affascinato con uno «sguardo onnipotente», e qui lo annega nel tentativo di compiere il rito battesimale, o, forse, proprio perché vuole annegarlo, come confessa sconvolto al camionista che gli dà un passaggio durante la sua fuga: «Io volevo soltanto annegarlo. Si nasce una volta sola».

Nell’ultima parte, Francis dismette gli abiti di sempre, tranne il cappello appartenuto al vecchio Tarwater, simbolo di una rinuncia incompiuta. Non ha fame, dichiara a chi lo incontra, non ha «fame del pane della vita», ma vuole qualcosa da mangiare. Si reca in città, dove si ubriaca e dove viene drogato, per poi essere sodomizzato in un bosco da uno sconosciuto, che dopo averlo stuprato «assume un colorito vagamente roseo, come se si fosse nutrito di sangue», un gotico vampiro demone in cui Francis riconosce finalmente la presenza del Male che aveva finito per rinnegare, pur di sentirsi libero, concentrandosi soltanto su se stesso, dimenticando che il mondo è territorio deformato per volontà maligna. Torna dunque alla tomba del prozio e qui, raccolta della terra, la usa per cospargersi la testa, stropicciandola contro la fronte, in un chiaro gesto penitenziale.

La vita e la morte di un profeta

Flannery O’Connor

Le due forze antitetiche che attraggono e respingono Francis Tarwater sono il centro drammatico della storia: da un lato la visione positivista di Rayber, per il quale la libertà significa rimanere dentro una realtà «lunga quanto il proprio sguardo», dall’altro la visione trascendentale del vecchio profeta protestante Mason per cui il battesimo del piccolo Bishop, preservato dal razionalismo paterno proprio perché disabile e dunque a suo modo puro, rappresenta l’unica scelta possibile, perché dettata dalla «voce del Signore», missione cui egli può immolare tutto se stesso proprio in virtù dell’anelito protestante che gli consente di vivere la fede «infischiandosene di andare contro gli insegnamenti della propria chiesa».
Ancora una volta non è la vita, bensì la morte la soglia che i protagonisti devono varcare per concretizzare una scelta – la Scelta – fra la Grazia e la dannazione. È dopo la morte di Bishop che Francis scopre il peso della vita; è dopo la più profonda umiliazione del suo io, devastato dalla violenza nel bosco, che intravede la Grazia, capace di toccarlo nelle viscere sanguigne della sua umanità, di smuoverlo manifestandosi in modo inimmaginabile – e per certi versi inammissibile – in quel Sud alienato e alienante che Flannery O’Connor descrive come la terra dei derelitti di Dio, dei profeti dei boschi pazzi di solitudine e di fede fino all’omicidio.

Il gotico incandescente

Testi e studi originali della scrittrice

Ecco il suo stile gotico, quella maniera di rappresentare l’impotenza umana davanti a una logica che non è umana e che si lascia intravedere nell’apparente illogicità di avvenimenti assurdi e incredibili, è la retorica oconnoriana dell’indicibile (Claudia Corti, Sul discorso fantastico, 1989) che la accomuna, per esempio, ad Herman Melville (1819-1891), nello sforzo di trascendere il meramente umano per protendere l’anima oltre, e accostarsi così al Mistero. Il fascino oscuro del gotico americano qui diventa pulsante e inafferrabile e assume le sembianze di una figura esile come una colonna spettrale di collera, fragile e incandescente, prodotto di una insondabile passione allo stato puro; e, ancora, la strada rossa e nuda che guizza come fuoco solidificato o il sole che appare come un gomitolo di luce malevola. La luce è sempre presente, abbacinante e dominatrice, essa è dolorosa, ferisce e incenerisce.

Il grottesco e l’orrore, la violenza e l’estensione simbolica si incarnano proprio attraverso la potenza della luce nella narrazione oconnoriana, intridendola di brama rivelatoria. Ma la rivelazione va colta mediante un atto di volontà, di scelta, di arbitrio, perché, infine, l’unico modo per non essere prigionieri del proprio volere è l’abiura nei confronti di una libertà imprigionante che diventa delirio di onnipotenza: «La grazia è un dono che Dio elargisce gratuitamente, ma per mettersi in condizioni di riceverlo bisogna imparare a rinunciare a se stessi» (Lettera a T.R. Spivey, 21 giugno 1959).

Portare la Grazia nel territorio del Diavolo

Anche The Violent Bear It Away (Il cielo è dei violenti) è, dunque, un romanzo religioso, non nei termini di un racconto dottrinale, bensì in quanto scenario di sfida continua fra l’uomo e Dio, fra il Bene e il Male; è il territorio del Diavolo nel quale Flannery O’Connor innesta narrativamente l’esistenza della Grazia. Del resto, il dolore dei suoi personaggi, la O’Connor lo sperimenta in prima persona, mentre il terribile male che la tormenta sembra accentuarsi «Ho paura del dolore e immagino che sia quello che dobbiamo provare per ottenere la Grazia» (Diario di preghiera, p. 24), cammino che ella percorre sapendo «che Dio è il Rifugio in cima al sentiero» e che l’unico modo che ha per rendere efficace la propria scrittura è affidarla a Colui che le ha fatto dono del talento di scrittrice: «Ti prego, fa’ che i principi cristiani pervadano la mia scrittura e fa’ che i miei scritti (pubblicati) siano numerosi abbastanza per diffonderli».

Il mondo rappresentato nei suoi romanzi è osceno e assurdo, dissennato e sporco, ma è l’essere territorio del Diavolo a renderlo tale, altrimenti non avrebbe senso accendervi la fiamma della Grazia. E accendere la fiamma della Grazia è esattamente la missione profetica di Flannery O’Connor, la sua ragione artistica. Il suo essere scrittrice e donna cattolica.

Leggi la prima parte

Leggi la seconda parte

Vania Russo

Vania Russo

Laureata in Lingue e letterature straniere e specializzata in Etnografia e Storia delle tradizioni popolari. Già freelance per diverse testate giornalistiche italiane, si interessa di cybercrime, storia dello spionaggio, storia e romanzo storico. Per diversi anni segue master e corsi di narratologia, specializzandosi nell’insegnamento della scrittura creativa e formandosi quale lettore editoriale ed editor professionista preso la Scuola Dumas. Dal 2007 organizza corsi di scrittura creativa e lancia nel 2017 la pagina facebook The Ghost Reader, coordinamento per scrittori e lettori. Collabora con diverse associazioni culturali e case editrici in qualità di correttore bozze ed editor. Dal 2017 collabora con Il Timone, Istituto di Apologetica. Ha all'attivo la pubblicazione di diversi romanzi con varie case editrici.

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