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Flannery O’Connor: il sangue saggio. (2)

«Che la fede in Cristo sia per taluni una questione di vita e di morte è stato uno scoglio per quei lettori che preferirebbero non attribuirvi gran peso».

Wise Blood (1952, trad. it. La saggezza del sangue) è il primo romanzo di Flannery O’Connor, scritto mentre frequenta l’università dello Iowa, a soli ventidue anni. L’opera sprigiona una tale autorevolezza letteraria da farla notare subito dagli intellettuali dei circoli dell’establishment culturale dell’epoca: la giovanissima, e quasi sconosciuta, Flannery diventa una promessa della letteratura americana, e intanto alcuni capitoli iniziano a circolare, pubblicati su numerose riviste: sulla Sewanee Review (primavera 1948), sulla American Letters (autunno 1948), sulla Kenyon Review e sulla Partisan Review nei mesi successivi.

Fede e Sud

Scrittrice cattolica e scrittrice del sud, questo si dice di lei, e la O’Connor ne è consapevole, come emerge dalle lettere ad Andrew Lytle (1902-1995), direttore al tempo della Sewanee Review, in cui suggerisce che «Secondo il mio modo di pensare l’unica cosa che mi impedisce di essere uno scrittore regionale è il fatto che sono cattolica e l’unica cosa che mi impedisce di essere uno scrittore cattolico (nel senso stretto della parola) è il fatto che sono del sud» (15 settembre 1965). Flannery sa, e se ne rammarica, che l’elemento religioso, centrale in Wise Blood, viene per lo più ignorato dalla critica letteraria, ma non dall’opinione pubblica del sud, in particolare da quelli che la accusano di beffarsi della fede metodista e battista (anche se i predicatori descritti nel libro sono un evangelista e un protestante).

Wise Blood
Prima edizione americana

La verità è che il primo romanzo di Flannery O’Connor è ustionante; è un palcoscenico su cui si alternano – e si alterano – i volti di personaggi tipici di quell’America degli stati del sud che l’autrice conosce fin nelle viscere, e che perciò padroneggia. Il protagonista Hazel (nebbia) Motes (pagliuzza) è il cristofobico predicatore che non cederebbe a Cristo nemmeno trovandoselo davanti «[…] io non ci crederei neanche se Lui fosse su questo treno», dice al controllore del vagone sul quale sta viaggiando quando il romanzo si apre. Qui, Haze incontra personaggi suggestionati e suggestionabili, che contemporaneamente lo ammirano e lo esecrano, guardandolo come si guarda a un essere emerso da certi gotici abissi grotteschi e privi di angolatura; e che lo fissano sconcertati, sferzati dalle sue domande oblique, e che anche solo per incrociarne gli occhi sprofondanti nelle orbite cavernose devono «fortificarsi» cercando prima qualcosa di accettabile nella sua figura, ma non c’è niente di facilmente accettabile in Haze, nella cui esistenza il comico e il tragico si uniscono, manifestandosi in un abito turchese con l’etichetta del prezzo in bella vista, sotto un cappello nero da predicatore; il predicatore della «Chiesa Senza Cristo».

Il sangue saggio

Il Mistero non può essere spiegato, può essere solo intensificato, Haze lo sa, e allora, piuttosto che piegarsi alla logica di Dio, preferisce aggropparsi sotto una logica umana per lui più accettabile. Per questo, egli vaga, non sa bene dove va, vuole redimersi e redimere senza il Redentore; è un figlio di predicatori che vuole liberarsi dal sangue saggio (wise blood) dei suoi padri, quello che, nonostante il suo incrollabile rifiuto, «gli fa circolare Cristo nelle vene».

Flannery O’Connor disorienta il lettore, per indicargli l’unica direzione possibile, quella dell’incalzante conflitto «fra l’attrazione per il sacro e una miscredenza nei suoi confronti che si respira con l’aria dei tempi. Credere è sempre difficile, ma tanto più lo è al giorno di oggi», si rammarica lei stessa in una lettera a John Haweks (1925-1998) [Sola a presidiare la fortezza. Lettere, minimun fax, 2019, p. 317]. Per alcuni la fede è uno «scotto da pagare a ogni passo», ed Haze è predicatore della nuova religione che intende cancellare per sempre la Croce, simbolo, per lui, della sofferenza del credente.

La fede inevitabile

Ma c’è il sangue saggio che lo rallenta, lo intralcia, ne sabota gli intenti, dissigillandolo nella verità dell’esistenza e cioè che «tutto muove verso il suo vero fine o in direzione opposta»: l’uomo o è salvo o è perso. La lotta di Hazel è destinata a fallire, perché «il sangue era la parte più sensibile […] del suo organismo; andava scrivendo il fato incombente attraverso tutto l’essere suo». Il cervello è pazzo (Haze a inizio romanzo sembra quasi tentare il suicidio), ma il sangue è saggio e infine gli impone di essere «cristiano suo malgrado». Così si compie il suo dramma, la caduta in quella incespicante brama di Infinito sfiancata dalla finitezza umana. Haze, che finalmente fa convergere gli occhi al Cristo della Croce, punisce il proprio corpo infliggendogli patimenti estremi: riempie le scarpe di pietre e cocci di vetro, stringe il petto in strisce di filo spinato, si fustiga con il cilicio, e lo fa perché deve pagare, come lui stesso dice alla signora Flood, la sua affittacamere: «Non sono pulito».

Cristiano suo malgrado

Wise Blood nella trasposizione filmica di John Huston (1979)

È l’iniziazione dell’anacoreta, che culmina quando Haze si acceca, perché «gli occhi ciechi possono contenere di più», possono contenere il buio in cui egli può finalmente incontrare la luce che è Cristo. Muore nell’auto dei due poliziotti che lo stanno riportando dalla signora Flood, l’unica capace di amarlo, pur non riuscendo a comprenderlo; l’unica che, contemplandone il volto composto e acquietato nella morte, ne indovina la meta finale: «vedo che è tornato a casa».

La parabola religiosa di Hazel Moses lo conduce dalla predicazione contro Cristo alla sottomissione fisica a Cristo, sottomissione che non è rassegnazione, bensì martirio e com-passione. Flannery O’Connor ci libera e ci imprigiona tra il comico e il grottesco, tra le tenebre e la luce, tra il paradiso e l’inferno; soprattutto ci assicura che il sangue di Haze era troppo saggio perché egli potesse infine rinnegare Cristo fino a dannarsi.

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Vania Russo

Vania Russo

Laureata in Lingue e letterature straniere e specializzata in Etnografia e Storia delle tradizioni popolari. Già freelance per diverse testate giornalistiche italiane, si interessa di cybercrime, storia dello spionaggio, storia e romanzo storico. Per diversi anni segue master e corsi di narratologia, specializzandosi nell’insegnamento della scrittura creativa e formandosi quale lettore editoriale ed editor professionista preso la Scuola Dumas. Dal 2007 organizza corsi di scrittura creativa e lancia nel 2017 la pagina facebook The Ghost Reader, coordinamento per scrittori e lettori. Collabora con diverse associazioni culturali e case editrici in qualità di correttore bozze ed editor. Dal 2017 collabora con Il Timone, Istituto di Apologetica. Ha all'attivo la pubblicazione di diversi romanzi con varie case editrici.

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