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Joseph Conrad: oltre la linea dell’ombra

Piccolo figlio mio, ripeti a te stesso
sei senza terra, senza amore,
senza paese, senza popolo,
finché la Polonia – tua madre – è nella tomba.
[Apollo Korzeniowski nel giorno del battesimo del figlio Jòzef Teodor Konrad]

Per comprendere Joseph Conrad (1857-1924) – per comprenderlo davvero – bisognerebbe far parlare il suo passato, ma c’è un silenzio assordante nella traccia autobiografica della sua intera Opera, un vuoto di parole che riguarda l’infanzia in Polonia e la storia della sua famiglia, informazioni senza le quali si può solo supporre e lasciare frasi a metà sul filo dell’intuizione. Eppure, quel che di lui leggiamo ancora oggi si lega intimamente alle risacche di quel silenzio, echi dispersi cui pochi biografi hanno saputo dare, nel tempo, interpretazione e forma che non fossero legati a questa o a quella corrente politica (come Italo Calvino, che volle vedere nei suoi scritti sapienti echi socialisti), dimenticando spesso che Conrad era «un degno figlio della prima generazione dell’intellighenzia polacca», ossia di quei membri della szlachta che, persi o abbandonati i loro averi, avevano raccolto l’eredità culturale della Madre Patria, cercando di farne un altare di offerte memorabili – come Conrad, anche Marie Curie (1867-1934), per esempio, fu erede di tale gruppo eletto (Le storie di Conrad, p. 36).

Il padre, colto letterato

Apollo Korzeniowski

Il padre Apollo Korzeniowski (1820-1869) potrebbe forse essere la figura chiave per comprendere la straordinaria capacità linguistica (ma esteticamente estranea all’Inglese letterario ufficiale e come tale percepita dai suoi colleghi scrittori britannici) che contraddistinse lo scrittore polacco, quanto i chiaroscuri della sua poetica. Apollo era, infatti, un letterato spudoratamente colto, oltre che un poeta, drammaturgo, traduttore dal francese e dall’inglese; cultore di Shakespeare, Hugo e Dickens, incoraggiò il giovanissimo Konrad a leggere perfino l’Iliade. Fu patriota combattente, politico, attivista; venne più volte imprigionato, condannato, rilasciato, esiliato. Ma più della sofferenza legata alla volontà di restituire piena dignità al ruolo politico della Polonia, fu soprattutto l’inconsolabile afflizione seguita alla morte della moglie ad amareggiare il figlio con lunghissimi periodi di solitudine, di introspezione forzata, di rifugio letterario, e a spingerlo a una fuga, imbarcandosi come marinaio a soli quattordici anni.

A quella scelta adolescenziale di Jòzef Teodor Konrad Korzeniowski seguirono, in effetti, molti anni per mare contraddistinti da una carriera non brillantissima, che però lo portò, a trentasei anni, a essere un ufficiale della marina mercantile britannica, e fu allora che rinunciò inspiegabilmente a un posto di capitano, probabilmente l’ultima possibilità di riscatto lavorativo, per diventare scrittore, per di più in lingua inglese – la sua terza lingua – inviando a un editore londinese un primo manoscritto a firma Kamudi.

Da marinaio a romanziere

Nel giro di poco arrivò a manifestare una insospettabile padronanza dell’arte del romanzo: approfondì e inventò nuove tecniche narrative, aderì a strutture romanzesche sempre più complesse, e concorse perfino alla poetica di James, di Dostoevskij, di Flaubert, tanto che Emilio Cecchi, importante critico degli anni Venti, ebbe a dire che «per cogliere l’aspetto più intrinseco dell’opera di Conrad si deve pensare a un Dostoevskij che tenti di mettersi d’accordo con Flaubert», ovvero alla cura delle parole, alla profondità del dialogo interiore, alla visibilità del più piccolo gesto, alla sonorità di un naturalismo a tratti quasi gotico.
Eppure non fu amato nell’Inghilterra che elesse come patria letteraria, anzi, molti colleghi lo sminuirono, come gli ispiratori dell’altolocato, eversivo e arci-snob Bloomsbury Group, E. M. Forster e Virginia Woolf; quest’ultima arrivò a definirlo «un autore brillante per visitatori sempliciotti dal pesante accento francese», uno che lasciandosi alle spalle il mare era caduto, con i romanzi della maturità, nel qualunquismo di personaggi biasimevoli e banalotti. (Mr Conrad: A conversation, e Woolf su Conrad, 1948).

Tra mare e terra: il legame con la morte

A ogni modo, non è semplice individuare dei confini, una traccia poetica, un riflesso cristallino di coscienza senza trascurare qualcosa di questo autore. La realtà è che Conrad manifestò una personalità elusiva ed enigmatica, fu perpetuamente creativo e sfuggente, un avventuriero amante delle donne, un autore di romanzi e lunghi racconti cadenzati quasi fossero una protratta autobiografia spirituale; spirituale nel senso onirico e istintivo di una convivenza irrisolta con le ombre del passato, e con i morti: «Dolce cosa parlar decorosamente dei morti, che sono parte del nostro passato, nostro possesso indisputabile» (Appunti di vita e di letteratura, p. 51). Il legame con la morte ( e con i defunti) fu per lui quel sentiero sussurrante atto a condurre gli uomini al cospetto della loro infinita complessità e, nel contempo, della loro drammatica e schietta debolezza: è la linea d’ombra, oltre la quale i suoi personaggi intravedono il destino desiderando il più delle volte fuggirne, ma al quale, il più delle volte, si piegano.

Si addentrò spesso nel soprannaturale, eppure rinnegò di aver mai voluto trasportare l’immaginazione «oltre i confini del mondo in cui vive e soffre l’umanità», e ricusò un’analisi in curve trascendenti delle sue storie, ammettendo più volte, come nella prefazione a La linea d’ombra (1917), quanto tutto il suo essere morale e intellettuale si rifiutasse di approvare la presenza di un qualcosa oltre la vita, poiché «il mondo dei vivi contiene abbastanza meraviglie e misteri così com’è», riducendo l’ultraterreno e il sovrannaturale a un artificio, «l’invenzione di menti insensibili alla delicatezza del nostro rapporto con i vivi e con i morti», una profanazione dei ricordi, un oltraggio alla dignità dell’uomo mortale.

Così visse, così scrisse

Edward William Garnett

In una breve prefazione alle sue opere, l’amico e curatore Edward William Garnett (1868-1937) ne dipinse una intensa descrizione ritraendolo come «un uomo nero di capelli, piccolo, ma straordinariamente grazioso nei suoi gesti nervosi, occhi brillanti, ora aggrottati e penetranti, ora teneri e caldi, un modo di fare vigilato […] una conversazione cattivante, circospetta, o ispirata».
Questo fu, a ben leggere, non solo il suo modo di essere, ma anche il suo modo di scrivere: stile nervoso, dialoghi brillanti a volte aggrottai e penetranti altre volte caldi e suadenti, una prosa circospetta e ispirata, costruita dentro un mondo diegetico prevalentemente maschile, nel quale la narrazione appartiene quasi sempre a un narratore (talvolta coincidente con un personaggio) incapace di penetrare il significato vero dell’esperienza raccontata. Così, pur disprezzando il nichilismo di Nietzsche, molti suoi personaggi – alla maniera del Martin Decoud di Nostromo (1904) – risultano privi di qualunque illusione e si autodistruggono perché non possono sopportare la solitudine, e si trasformano in reietti incapaci di leggere i segni, marinai perseguitati dall’idea della morte, spettatori annichiliti innanzi alle tenebre che si addensano attorno allo scafo della nave, apparentemente orfana di comando.

L’ombra al centro della coscienza

Il segreto centro di coscienza delle sue opere – ciò che La follia di Almayer (1895), Il negro del Narciso (1897), Lord Jim (1900), Tifone (1902), Nostromo (1904), L’agente segreto (1907), Vittoria (1915) nascondono nell’intercapedine narrativa – è il sussurro inatteso e inattendibile di una sorta di personaggio ombra che segue i protagonisti, che li alterca, e che prende forma ora di fantasma, nel ricordo oscuro di un capitano defunto, ora di una malattia, nel morbo atroce e inoppugnabile che devasta le ciurme, o perfino di una notte più nera e impenetrabile delle altre, foriera di imperdonabili, per Conrad, riflessioni sull’aldilà.
Devotamente impegnato in una ricerca consapevole di nuovi strumenti di analisi della realtà, soprattutto sotto forma di «angolazioni diverse» che potessero diventare forma adatta per rappresentare una società politica e «impolitica» multiforme e inafferrabile, Conrad scelse parole non trasparenti, ambigue, doppie suscitando nella forma del discorso un rapporto dialogico fra personaggi e imprigionando i lettori in un dedalo di interrogativi. «Lo scopo che mi propongo di raggiungere, col solo potere della parola scritta, è farvi udire, farvi sentire, e prima di tutto farvi vedere», spiegò nella prefazione al Negro del Narcissus (1897), far «vedere storie» da angolazioni nuove, spesso inquietanti, ma sempre mediante una pluralità di prospettive; attitudine che lo proiettò al centro della scena di un Novecento pieno di interrogativi, ma povero di risposte.

L’orizzonte delle aspettative

Più che al significato, la narrazione conradiana conduce al non-significato: un qualcosa di più profondo e snervante del dubbio. L’orizzonte della navigazione – e l’orizzonte dell’io – variano senza sosta, anche quando sono ancorabili a eventi tangibili quanto una tempesta in alto mare, e ogni storia diventa il riflesso di un’altra storia abissale e intuitivamente spaventosa, della quale si intravedono increspature d’onda in superficie.
Per questo, per liberarsi dalla prigione del non detto e dall’assenza di significato, i protagonisti di Conrad hanno sempre bisogno di un esorcismo: è questo che risolve la possessione della tenebra senza nome, e avviene quasi sempre al culmine della stasi o nel dramma di un’ammissione o di una rinuncia. L’ombra allora si ritira oltre la linea, non svanisce, ma resta in agguato, perché il viaggio conduce e condurrà sempre alla morte, il porto che ogni navigante vorrebbe evitare, e che pure lo vedrà approdare.

Cuore di tenebra

Uomo di mare, Joseph Conrard non rinunciò affatto alla navigazione scegliendo la carriera di scrittore, scelse piuttosto di navigare i mari oscuri del cuore umano invaso della tenebre, e riversò nelle sue storie il battito oscuro di numerosi fantasmi, spargendo ovunque indizi della loro presenza, pur senza svelarli mai fino in fondo.
La tensione narrativa, egli stesso lo confessò, si accentrò alla fine intorno all’ansia creativa, al clamore di un’anima inquieta, fino a diventare ossessione, espressa nel racconto Il compagno segreto (1909) in cui l’oscura presenza a bordo della nave pare riflesso del segreto compagno di viaggio che, chissà, condivise l’inconscio di Conrad costringendolo a quelle brusche partenze e fughe improvvise da ogni nave sulla quale prese servizio, e che gli inflisse non rimarginabili ferite psicologiche – fino ad acuti stati depressivi – inseguendolo e tormentandolo per tutta la vita, rendendolo orfano (sei senza terra, senza amore, senza paese, senza popolo) e costringendolo perpetuamente a navigare nel mare dell’inquietudine, così come il padre Apollo aveva predetto nei pochi versi che scrisse per lui, il giorno del suo battesimo.

Bibliografia

  • Joseph Conrad, Appunti di vita e di letteratura, Bompiani, 1950.
  • Richard Ambrosini, Le storie di Conrad. Biografia intellettuale di un romanziere, Carocci Editore, 2019.
  • Romanzi e racconti dell’autore in particolare: La Linea d’ombra, Lord Jim, Vittoria, Cuore di Tenebra, Nostromo, Il compagno Segreto.
  • Virginia Woolf, Mr. Conrad: A conversation, in Sherry, 1973, p. 38.
  • Zdzislaw Najder, Conrad under family eyes, Combridge University Press, 1983.
  • Maya Jasanoff, The Dawn Watch: Joseph Conrad in a Global World, Penguin, 2018.
Vania Russo

Vania Russo

Laureata in Lingue e letterature straniere e specializzata in Etnografia e Storia delle tradizioni popolari. Già freelance per diverse testate giornalistiche italiane, si interessa di cybercrime, storia dello spionaggio, storia e romanzo storico. Per diversi anni segue master e corsi di narratologia, specializzandosi nell’insegnamento della scrittura creativa e formandosi quale lettore editoriale ed editor professionista preso la Scuola Dumas. Dal 2007 organizza corsi di scrittura creativa e lancia nel 2017 la pagina facebook The Ghost Reader, coordinamento per scrittori e lettori. Collabora con diverse associazioni culturali e case editrici in qualità di correttore bozze ed editor. Dal 2017 collabora con Il Timone, Istituto di Apologetica. Ha all'attivo la pubblicazione di diversi romanzi con varie case editrici.

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