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La mummia dell’apostolo: Gorini il pitagorico e il corpo di Giuseppe Mazzini (2)

La Fratellanza Fiorentina e la Società di Mutuo Soccorso genovese erano emanazioni di logge massoniche e intendevano organizzare una funerale adatto al personaggio Mazzini, al credo suo e a quello dei suoi discepoli. Le cerimonie funebri massoniche contavano su musiche, canti, simboli e paramenti. Personalità primarie delle massonerie (presente e futura) ebbero accesso alla salma nei momenti successivi alla morte, fra questi, oltre ad Ernesto Nathan, Adriano Lemmi.

La simbologia politica del funerale mazziniano

Va ricordato che Mazzini era del tutto contrario alla conservazione dei corpi, alla loro imbalsamazione e alle pompe funebri. Nel leggere i suoi scritti si comprende che per lui era importante propiziare la distruzione totale del corpo per favorire la reincarnazione dell’anima. Desiderava per sé una cerimonia semplice e una tomba semplice. Comunque, l’attività frenetica delle varie «fratellanze» che s’agitarono attorno al suo cadavere è per noi una porta socchiusa su certi segreti pensieri delle prime élite dell’Italia unita. Per i mazziniani riuniti a Pisa nel 1872 «la guerra del movimento repubblicano e anticlericale contro il mito di Casa Savoia, contro i fulmini della Chiesa cattolica e anche contro la volontà di Mazzini, cioè contro se stesso» era una cruciale questione di simbologia politica e non solo politica (Luzzato S., op. cit., pp. 22-23).

I fautori della mummificazione

Agostino Bertani, soprannominato
“medico degli eroi”

Uno dei principali protagonisti della decisione della mummificazione fu il medico e patriota Agostino Bertani (1812-1886), capo dell’Estrema Radicale, che avrebbe ritenuto opportuna l’«accorta gestione» del corpo di Mazzini per non far morire la sua fazione contro quella socialista che cercava di farsi largo nella siepe dei discepoli dell’esule o quella puramente mazziniana. Non è tutto, come apertamente ci informa Luzzato:

Sulla scelta di trasformare il cadavere del profeta in una mummia, e di impiegarla a fini d’immagine, pesava anche l’impegno di Bertani come portavoce del libero pensiero, in una stagione durante la quale il fronte anticlericale considerava prioritario sottrarre alla Chiesa il monopolio della gestione dei defunti. Ancora, l’affiliazione massonica predisponeva Bertani a investire sulle onoranze funebri come occasione rituale per affermare i valori della cultura laica e il prestigio dell’eredità risorgimentale.
(
Luzzato S., op. cit., p. 26).

Bertani pensò insomma a una mummia didattica, un prolungamento del Mazzini vivo in quello morto, una ritualità laica, o piuttosto laicista, da contrapporre a quella cattolica e clericale. Il cadavere dell’«apostolo» offriva la prima occasione per imporre l’eroe nazionale al pubblico. L’Italia appena fatta aveva bisogno di eroi fondatori perché, come è ormai noto, bisognava fare gli italiani usando exempla e propaganda.
Per la bisogna fu chiamato Paolo Gorini (1813-1881), scienziato pavese ma lodigiano d’adozione, il quale aveva maturato una grande esperienza di imbalsamatore sperimentale perfezionando anche una tecnica di sua invenzione, la pietrificazione, che consentiva di sostituire i liquidi organici con liquidi salini che, con il tempo, si solidificavano facendo raggiungere ai tessuti biologici la consistenza della pietra. Sappiamo allora che Bertani e Lemmi discussero l’opportunità di iniziare subito la mummificazione di Mazzini, e la misero ai voti. Vinse Bertani, che telegrafò a Gorini – amico comune e uomo la cui strana fama si era diffusa – e il progetto di mummificazione iniziò. Il 12 mattina Gorini cominciò l’esame della situazione. Senza risparmiarsi i particolari più crudi, così racconta la vicenda Carlo Dossi (1849-1910), lo scapigliato amicissimo di Gorini, nella sua Nota Azzurra numero 2737:

«2737. Preparazione della salma di Mazzini (dal racconto di Gorini). Gorini è chiamato a Pisa da un telegramma di Bertani. Trova una folla di Mazziniani, mezzi matti, ciascuno dei quali dà ordini e disordini, gridando “si faccia questo, si faccia quest’altro, non si badi a spesa” e inviando poi, beninteso, i conti a pagare ai tre 3 o 4 ricchi di loro. Lemmi ci spese di più di 6000 lire – e nota che i patrioti operai gli fecero pagare 800 lire una cassa di piombo che ne valeva 200. – Si domandò a Gorini in che modo avrebbe imbalsamato Mazzini. Rispose avere due modi: uno spedito ma che conservava per pochissimo tempo il cadavere; l’altro lunghissimo, ma che lo serbava indefinitivamente. Si passò ai voti. Dei mazziniani, i Nathan volevano che si seppellisse Mazzini senz’altro. Ma prevalse Bertani. Gorini si pose dunque al lavoro. Il corpo giaceva in istato di avanzatissima putrefazione. Era verde – era una vescica zeppa di marcia. Bertani assisteva all’esperimento. Dopo tutta una notte di tentativi, Gorini avea già perduta ogni speranza di conservarlo. Arrischiò un altro mezzo – e il verde scomparve e la marcia si coagulò. Allora si pose in cassa Mazzini per portarlo a Genova. In viaggio la cassa si ruppe e ne uscì del liquido. A Genova Gorini riprese il lavoro. In due anni, ne spera un mediocre successo».

Gorini e la preparazione della salma mazziniana

Ritratto di Paolo Gorini

In mezzo alla folla di «mazziniani mezzi matti», ai brontolii del Lemmi che pagava il quadruplo la cassa di Mazzini, Gorini iniziava le operazioni per le cerimonie che attendevano, riservandosi poi di prendersi tutto il tempo per preparare la conservazione «etterna» della salma dell’apostolo. La notte fra il 13 e il 14 marzo, senza darsi per vinti per via dello stato già quasi compromesso del cadavere, i medici Bertani e Gorini si misero all’opera alacremente: sostituirono i bulbi oculari con protesi di vetro e iniettarono i liquidi pietrificanti, invenzione esclusiva del Gorini. L’accordo non era universale: non concordavano i seguaci e amici del Mazzini di origine israelita come Sara Nathan e Angelo Usiglio, ma perplessità furono manifestate anche dai più fedeli seguaci del pensiero spiritualista e reincarnazionista del profeta.

In effetti né agli uni né agli altri pareva utile il progetto. Usiglio la definiva addirittura «oscena e indegna di un popolo che si rispetti», attribuendola al retaggio cattolico degli italiani (Luzzato S., op. cit., p. 33). Rampogna che Luzzatto non respinge. Ma tale retaggio non esisteva più nella mentalità di Bertani. La conservazione del corpo del Mazzini fu ispirata a ragioni di ordine pratico e rafforzata probabilmente anche da motivi spiritualisti, di ispirazione massonica, non certo da pietà cristiana.
Secondo Luzzatto, anche il positivismo laico e razionalista del Gorini era gravato dal «peso di una tradizione spiritualistica secolare». Altra allusione al cattolicesimo. Vedremo però che questo retaggio non premeva affatto su Gorini, altrimenti bisognerebbe ammettere che anche la galleria degli orrori nella sua casa-laboratorio di Lodi, lo studio pieno di «cadaveri interi e cadaverini, covate di cagnolini, teste imbalsamate su busti di gesso, cuori di fanciulla duri come l’agata, glandi di giovinetti, tavolini intarsiati a marmi animali e con le gambe e piedi umani», per dire il meno, e il bambino pietrificato che teneva sotto il letto in cui dormiva, fossero da addebitarsi al «peso» di quella «secolare tradizione spiritualistica» e magari cattolica.3 Il che è assurdo. No, altri retaggi, e ben diversi, gravavano su Bertani e Gorini. E forse Luzzatto, continuando una prudenza storiografica secolare, vuole evitare che su questi padri della patria si posino sospetti di ben peggiori superstizioni di quella del culto dei santi cattolici (4278. Gorini convisse coi soli morti per dei mesi di seguito. Lavorava di notte – dormiva di giorno. E sull’alba ritornandosene egli a casa dal laboratorio, allorchè incontrava “qualche persona viva, si tirava – diceva lui – contro il muro con quella stessa paura che avrebbe avuta quel vivo alla vista di un morto”. – A Torino, quando fu per sottoporre al giudizio di una Commissione academica i suoi preparati tenea nella sua stanza da letto pezzi di gambe e di braccia nei cassettoni e nel comodino. Sotto il letto avea poi un bimbo essiccato – nella saccoccia dita, nel taschino del gilet bottoni scolpiti in carni impietrite ecc.», Dossi C., Note Azzurre, Adelphi, Milano).
In una lettera, Bertani ci ha lasciato la descrizione commossa della sua partecipazione all’imbalsamazione dell’amico e maestro (lui era un dottore) con una descrizione sommaria del suo progetto:

Quell’arte, che mi procurò già la soddisfazione di restituirlo per alcun tempo agli amici tremanti per la sua vita, mi concesse il penoso privilegio di occuparmi di lui quando fu spento. Innanzi al suo corpo esanime io mi provai al contegno, che la lunga consuetudine della professione mi assente al cospetto del cadavere; ma l’angoscia che rinasceva improvvisa, interrompendo l’opera, rendevami talvolta inerte e mi chinava quasi a scusarmi del disagio che egli recava – e tal altra, l’affetto, che sorpassa colla fantasia la morte, mi raffigurava rianimate quelle sembianze; allora parevami che cogli occhi vivacissimi dischiusi e colla dolce parola egli mi chiedesse il perché di tante cure, da cui la sua modestia rifuggiva. Ed io a lui colla accesa illusione: “Se ciò ti duole, perdonalo agli amici della tua terra natale che, pei tristissimi tempi della patria comune, dal tuo genio redenti, ti ebbero sì poco vicino, e però vollero perennemente serbato il tuo sembiante improntato dello spirito che ti animò”. Ma gli occhi suoi erano veramente chiusi e le labbra erano mute; ed io mi rivolgeva allora al Gorini, ringraziandolo per voi tutti che ci ritornasse alle apparenze della vita il perduto Maestro ed amico.
Il corpo di Mazzini invero, sottratto alla chimica fatale della natura, atteggiato come se parlasse a discepoli ed amici, e col libro suo Dei doveri dell’uomo nella destra, «sarà un monumento di continua rivelazione, ed efficace eccitamento ai futuri di studiare e seguire le grandi orme di quel genio immortale».
(
Bertani A., Lettera alla consociazione degli Operai di Genova). 

Creare un monumento di continua rivelazione

Inizialmente, si era pensato di imbalsamare il corpo di Mazzini per consentire la sua preservazione per qualche giorno, successivamente era prevista la mummificazione pietrificante, definitiva. Irrigidito nella perennità avrebbe dovuto essere atteggiato come se parlasse a discepoli ed amici, e col suo libro Dei doveri dell’uomo stretto nella mano destra, per diventare così un «monumento di continua rivelazione, ed efficace eccitamento». Un progetto molto curioso, verrebbe da dire, unico e molto apprezzata: «la Massoneria ligure», ci ricorda Luzzatto, offrì a Gorini nel 1872 «una medaglia d’oro specialmente coniata per lui», in effige, la salma di Mazzini, «vegliata dalla figura dell’Italia dolente» (Luzzato S., op. cit., p. 65)..

Per la religione cattolica, la conservazione provvisoria del cadavere era giustificata da considerazioni di natura pratica (lunghi viaggi, lunghi periodi di esposizione e caldo) per morti il cui status imponeva lunghe cerimonie: personaggi morti in odore di santità, papi, cardinali, principi, re, all’interno di una cerimonialità e una scenografia simbolica del tutto religiosa, nelle quali la figura della Madonna, del Risorto, della croce erano obbligatori. L’ostenzione laica, repubblicana, massonica, di Mazzini, «profeta» e «santo laico», usava una simbologia propria e una cerimonialità propria e codificazioni simboliche del tutto differenti. Luzzatto ammette con qualche cautela che l’iniziativa di pietrificare Mazzini fu promossa da uno schieramento che «possiamo dire massonico», «nella misura in cui» i suoi componenti – Bertani, Gorini, Lemmi – «erano legati ai vertici del Grande Oriente d’Italia» (Luzzato S., op. cit., p. 66). Chi scrive cancellerebbe ogni dubbio residuo sulla natura dello schieramento che volle la mummificazione di Mazzini. Fu Adriano Lemmi a finanziarne in gran parte l’operazione, pur lamentandosi del costo della bara. I massoni come Bertani e Lemmi avevano chiuso i conti con il cattolicesimo (Lemmi oltretutto era a sua volta israelita) e la loro appropriazione del territorio e delle città italiane avveniva proprio nel segno di una bonifica e di una cancellazione dell’identità cattolica. Nel giro di pochi anni la simbolica urbanistica italiana cancellò i nomi dei santi e della tradizione secolare per sostituirli con una pletora di vie Mazzini, Garibaldi, Saffi e Bixio.

Mazzini come Lincoln

Statue of Abraham Lincoln inside the Lincoln Memorial in Washington DC (foto: diane39/Getty)

Le statue che ebbero miglior cittadinanza nelle piazze principali furono quelle che rappresentavano allegorie con il genio alato dell’iniziazione e della luce. Tappa importante di questa cancellazione era stato l’Anticoncilio di Napoli del 1869 – contestato dagli stessi fratelli, in molti casi, per la sua truculenza – che non aveva esitato ad inalberare simboli satanici. La simbolica autoritaria del nuovo corso avrà il suo culmine con l’edificazione della statua di Giordano Bruno nel 1889 centenario della Rivoluzione Francese.
Del resto, lo stesso Luzzato vede come precedente alla «pietrificazione» di Mazzini l’imbalsamazione del presidente Lincoln, procedura che consentì alla sua salma un lungo viaggio ferroviario. Lincoln, massone anch’egli, che proveniva da quel Sud degli Stati Uniti dove massoneria internazionale aveva un bastione e dal quale, come ricoda Luzzatto, si irradiava un vero e proprio embalming movement. L’ostensione del cadavere di Mazzini doveva fondare una nuova religione civile, laicista, repubblicana, opposta a quella cattolica.

Gorini lavorerà poi un anno per cercare di mummificare Mazzini, vegliato da devoti mazziniani e garibaldini, trafficò con liquidi e sali, in una sala del cimitero Staglieno di Genova. L’apostolo acquisì un colorito come di vivo per qualche settimana, nel 1873, quando fu pubblicamente esposta alle folle. Ma lo stato sempre più compromesso del cadavere, di cui Gorini non era riuscito a fermare la putrefazione si concluderà nel 1874 quando fu interrato definitivamente. La «pietrificazione» era fondamentalmente fallita anche se l’esibizione ripetuta, negli anni immediatamente successivi all’unificazione d’Italia, era stata utile per fondare il nuovo Stato e regalargli i primi esempi d’eroi da offrire alla devozione della religione civile. La tomba di Mazzini allo Staglieno, con le due colonne doriche (che richiamano le colonne di Joakim e Boaz del Tempio di Salomone), e la stella a cinque punte, è modellata sulla simbologia costruttiva dei libero-muratori. Oltre a questi, nessun altro simbolo lontanamente religioso (V. fotografia in Luzzatto, op. cit., p. fig. 18).

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Bibliografia

  • De Mattei R., Le società segrete nella rivoluzione italiana, in AA.VV La Rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento, cur. Viglione M..
  • Luzzato S., La mummia della repubblica. Storia di Mazzini imbalsamato, Rizzoli, Milano 2001.
  • Comba A., La cifra massonica del carbonaro Mazzini, giugno, «Hiram», 1990.
  • Gatto Trocchi C., Il risorgimento esoterico. Storia esoterica d’Italia da Mazzini ai giorni nostri, Mondadori, Milano 1996.
  • Bertani A., Lettera alla consociazione degli Operai di genova, in White Mario J., Agostino Bertani e i suoi tempi, vil. II, cap. XXI.
  • Ricci G., Il principe e la morte, Il Mulino, Bologna 1998, pp. 67-68.
Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone si è laureato in Lettere all’Università degli Studi di Milano, specializzandosi in Storia del Rinascimento. È romanziere e saggista. Insegna Scrittura Creativa all’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia. Ricercatore storico e studioso di storia dell’immaginario e delle idee, ha pubblicato molti libri e centinaia di articoli, collaborando con mensili, settimanali e quotidiani.

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