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Apologia di una traslazione angelica (3)

Tesi complessiva

Vengo ora a proporre una visione complessiva, facendo sintesi di quanto fin qui esposto. Partiamo dal titolo del paragrafo: fuochi ermeneutici. L’idea di fuoco allude ai due centri dell’ellisse e porta con sé il messaggio che una buona prospettiva culturale, quella che io considero espressione di un’intelligenza piena e quindi capace di volgersi ad una verità non apparente, deve avere almeno due fuochi. È quanto introdotto con la prima tesi del punto 1. Ricostruiamo tale impostazione.

Prospettiva storico-teologica e storico-critica a confronto

Abbiamo già esposto alcune delle caratteristiche delle due prospettive fondamentali che chiedo di prendere come paradigmatiche. La prima riposa su canoni fissi di impianto illuminista che invocano la riproducibilità e la molteplicità di fonti e onorano maggiormente la dimensione della razionalità e dell’empiricità. Tale impostazione concede pochissimo credito al miracolo circostanziato della Corona, ma facevo già notare che non ne concede più nemmeno a grandiosi miracoli – come quelli su citati – della cristianità. Il che non è cosa da nulla.
La seconda accoglie la fenomenologia specifica di casi unici e isolati, difficilmente verificabili con strumenti critico-scientifici soprattutto qualora siano eventi molto circoscritti; essi vengono presi in considerazione ad alcune condizioni: che non siano nocivi alla fede, non siano apertamente contraddetti dalla scienza e che siano riconducibili alla ragione teologica (per esempio suscitino autentica devozione e non superstizione o mera curiosità, che abbiano insomma un senso teologico da proporre).

La rivoluzione culturale e i nuovi approcci della ragione

Può essere utile ricordare che proprio in Età Moderna si avvia quella rivoluzione culturale che ha spostato il modo di ragionare degli occidentali da un approccio classico-tradizionale a uno moderno-illuminista. Quest’ultimo ha portato con sé le ricchezze del metodo scientifico e una maggior chiarezza nella ricostruzione controllata del nostro sapere empirico, basato cioè su esperimenti e rivolto alla realtà materiale e sensibile. Nel frattempo si è invece persa la capacità di percepire le dimensioni spirituali e trascendenti. L’esito, nel caso della ricostruzione dei miracoli, lo abbiamo visto nei paragrafi precedenti. La proposta che nuovamente avanzo è quella di tenere insieme i contributi positivi di entrambi i metodi, distaccandoci da questi laddove invece si presentano nei propri limiti.
Ora alcun casi esemplificativi, prima di provare a definire in che modo i due sistemi si limitino e compenetrino.

Legge del Rasoio di Ockham

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Il ricorso alla spiegazione più economica – per cui gli storici contemporanei considerano dispersivo dedicarsi alla ipotesi del miracolo – e l’invito a spiegare i fatti ricorrendo alla via argomentativa più breve e semplice, è l’applicazione storiografica della celeberrima legge del Rasoio di Ockham. Legge utilissima in sede di sperimentazioni empirico-laboratoriali, ma dannosissima per tutto il resto. Notoriamente tale approccio perde di vista tutte quelle dimensioni della realtà che non si prestano ad essere schematizzate e ridotte ai nostri concetti mentali: i miracoli, la religione, Dio stesso, la Verità, ma anche solo i grandi valori e ideali dell’esistenza.
Bisogna inoltre considerare se non esistano leggi specifiche legate a dati fenomeni, nella fattispecie se si diano delle costanti specifiche per le manifestazioni miracolose. Per esempio, la scelta di manifestare il miracolo a gente semplice, come va letta? Creduloneria non verificabile di sempliciotti condizionabili? In realtà dalle Sacre Scritture ad oggi la preferenza di Dio va proprio rivolta ai più semplici e ignoranti, è a loro che Egli predilige manifestarsi. Un approccio critico serio non può trascurare simili fattori.

Il caso di Emile Zola

Il Cervato cita il caso del prevosto che non volle avviare indagini storiche sulle traslazioni di S. Lucia per tutelare l’ordine pubblico e la fede popolana. L’aneddoto sembra suggerire che una puntuale indagine storica, se svolta per tempo, avrebbe azzerato ogni plausibilità di miracolo. Chissà, magari è vero l’opposto: un’indagine avrebbe confermato tutto e svilito gli storici moderni. Rimaniamo col dubbio ermeneutico.

Non vi sono dubbi invece circa un ulteriore aneddoto, che amo evocare – relativo questa volta alla mentalità che ha guidato alcuni esimi rappresentanti del pensiero critico più recente. Alludo al caso di Emile Zola, che testimoniò ostinatamente il falso, pur avendo assistito a un miracolo in quel di Lourdes (cfr. Vittorio Messori, Ancora su Zola e Lourdes). E qui, senza bisogno di interpretazione alcuna, risulta chiaro come l’attestazione di un miracolo, ben prima di porre una problematicità dal punto di vista del riscontro empirico, pone un compito di conversione o anche solo di umile onestà all’intellettuale che voglia studiare la materia. Al che emerge meglio e quasi a mo’ di corollario un ulteriore e conseguente appunto: la scelta dei testimoni e di certi testimoni forse è obbligata e va rispettata. Si comprende il sospetto degli storici, quando notano che i miracoli vengono attestati solo da gente povera e spesso analfabeta, ma pare non da scartarsi l’ipotesi che Dio stesso scelga simili testimoni, probabilmente per evitare la malizia di inaffidabili dotti – come mostra il caso Zola.

Il metodo storico-critico che nega il miracolo, in principio o di fatto, e non lo ammette tra i propri oggetti di studio, con ciò stesso nega a Dio la possibilità di intervenire nel corso storico. Questa opzione non esprime un sapere neutro, ma nuovamente conferma una visione positivista. Se assunta, consapevolmente o meno, da un credente, diviene tragica.
L’approccio storico-critico, come abbiamo già evidenziato, dà minor credito alla dimensione della fiducia relazionale inter-generazionale e insiste piuttosto sull’accertamento personale attraverso forme colte. Questo è un limite del sapere occidentale: un sapere di dotti, che descrive alla perfezione una e una sola faccia della verità.

Purificare la narrazione

In tal direzione, la ricerca di dimostrazioni inoppugnabili non conviene all’indagine su fatti spirituali. Questo significa che non avremo dimostrazioni del miracolo che soddisfino appieno l’ottica scientifica e che non conviene ugualmente accamparne da parte teologica. La scienza storica ci dica se la ricostruzione della tesi miracolistica, per quanto indimostrata ed indimostrabile, ha una sua plausibilità e non è contraddetta in modo patente. La scienza metafisica raduni le argomentazioni pertinenti alla tradizione del miracolo e non s’attardi in apparenti rinforzi scientifici incontrovertibili.
Questo basti come accenno sui limiti di un sapere meramente storico-teologico, né mi dilungherò oltre, anche perché credo aver già detto quanto realmente servisse: tale sapere deve chiedere il riscontro alla scienza storica per sfatare ricostruzioni puramente fantasiose (es. prove posteriori inautentiche) e purificare la narrazione essenziale degli accadimenti. Insomma togliere una certa ingenuità alle attestazioni meta-empiriche.
E ancora, nel dialogo tra i due sistemi, è importante che si apprendano con precisione i termini e le cornici di riferimento dell’interlocutore, in modo che, dovendo chiarirsi o interrogarsi, lo si faccia col debito rispetto e quindi con adeguata comprensione della lezione altrui. Il rischio maggiore, che decade in ideologia, è quello di finire col descrivere lo studio dell’antagonista in toni irrisori e riduttivi, ma spesso questo a dispetto delle proprie convinzioni, attesta la propria ottusità e non la propria superiorità

Verso una conclusione aperta e meta-scientifica

Concludo e propongo la seguente linea di incontro e demarcazione tra i due approcci: la possibilità del miracolo (e del trascendente), conformemente ad una dottrina metafisica consolidata, deve essere limite per la criticità delle tesi del metodo storico-critico; così all’inverso la confutazione accreditata, solida, evidente svolta coi retti mezzi del metodo storico-critico – tenuto conto della qualità empirica dei medesimi e della loro inabilità a esprimersi sul trascendente in quanto tale – deve porsi come limite all’assenso delle tesi del metodo storico-teologico.

Continua…

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Bibliografia

Marco Begato

Marco Begato

Nato nel 1983, don Marco Begato è un Salesiano (SDB) che ha svolto studi di filosofia conseguendo la laurea magistrale (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) e la Licenza (Universitas Pontificia Salesiana, Roma). Ha completato studi musicali in Sassofono e Didattica della Musica (Conservatorio Luca Marenzio, Brescia). Lavora come docente, dopo aver insegnato latino e filosofia nei Seminari e al liceo, oggi segue i corsi di IRC presso Istituti Tecnici e Centri di Formazione Professionale. Collabora con varie testate online di apologetica, in primis con l'Osservatorio Internazionale Van Thuan e il sito Altare Dei. È socio della piccola associazione tradizionale Amicizia San Benedetto Brixia. Dirige e cura il sito www.veritaslauretana.it in difesa della tradizione miracolosa angelologica.

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