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Paolo Gorini, pitagorico

Nato nel 1813, laureato in matematica, dopo essersi inizialmente dedicato al «plutonismo», – cioè allo studio dei vulcani – Gorini si appassionò agli esperimenti di ricerca di un metodo scientifico per garantire la conservazione dei corpi animali (Carli A., Carlo Dossi e Paolo Gorini. Letteratura e scienza scapigliata, pp. 328-360). L’intera opera di questo singolare scienziato, visto con bonomia e simpatia dai suoi concittadini, sembrerebbe improntata ad un materialismo assoluto. Ma le note che lo scrittore Carlo Dossi, suo amico, gli dedicò ci lasciano intuire che non era così. Dossi, il maggior scrittore della Scapigliatura, ci ha lasciato pagine di ricordi personali e di annotazioni su Gorini nelle Note Azzurre. Lo ammirava tanto da aver progettato più di un’opera su di lui. La sezione delle Note dove l’attenzione dello scrittore si concentra soprattutto sul singolare scienziato è chiamata dall’autore stesso Goriniana.

Gorini e i residui di vita nel cadavere

La brevissima nota 843, per esempio, tratta proprio dell’uccisione completa del cadavere cui abbiamo alluso sopra: «Gorini dice che per conservare un cadavere, bisogna ucciderlo completamente, cf. Lucrezio. L. III, v. 715 e seg.». Lucrezio, nei versi citati, espone la dottrina secondo cui l’anima aderisce al corpo, con esso si forma e con esso muore. Distruggendosi il corpo con la putrefazione, la degenerazione del sangue e della carne, degenera e sparisce anche l’anima. Ma Dossi lascia intendere che per il Gorini esistesse la possibilità che una forma residuale di vita resti nel cadavere. È una teoria classica dello spiritismo, che ha ispirato molta letteratura gotica: se non uccisa completamente, cioè liberata totalmente da residui psichici, la salma poteva impedire o ritardare il processo di reincarnazione, formando una larva. Altri – non sappiamo se Gorini – agganciandosi a quest’idea sostenevano che tale larva, opportunamente animata con procedure magiche corrispondeva proprio al Ka egizi, materia attenuata legata al corpo. Gorini doveva dunque credere a forme di sopravvivenza dell’anima disincarnata e per questo prendeva le sue precauzioni. Leggiamo nella Nota 1069:

ubicumque sanguis est, ibi est anima et operatur – Questa opinione è antichissima – ed ha un gran lato di verità. Si possono istituire paragoni tra il sangue animale, vegetale e minerale (Vedi fisiologia plutonica di P. Gorini, Origine dei Vulcani).

Arturo Reghini e la Scuola Pitagorica

L’anima risiedeva nel sangue. La pratica di Gorini, infatti, prevedeva una sostituzione completa e di qualunque altro liquido organico con sali che poi indurivano lentamente. Nella Nota 1915, Dossi è ancora più esplicito: «Le teorie goriniane hanno molti punti di somiglianza colle pitagoriche». Questa nota, inesplicata, perché Dossi non dedica altre spiegazione, e certamente non approfondite, alle teorie metafisiche del Gorini in relazione all’anima, rendono però meno misteriosa, per così dire, l’interessamento al caso di Mazzini dell’inventore della Scuola Pitagorica, Arturo Reghini. Il laicismo positivista e anticlericale trovava dunque nelle antiche teorie dell’anima, quelle epicuree di Lucrezio e quelle pitagoriche una base filosofica, gnoseologica e metafisica per le proprie elaborazioni scientifiche (Gorini) e magiche (Reghini).

Il museo degli orrori di Gorini

Testa pietrificata
Museo Gorini di Lodi

Il Museo Gorini di Lodi raccoglie circa duecento reperti. Il curioso scientifico può divagarsi, ma appena ci si soffermi sul pensiero che i resti esposti nelle teche sono persone, si fa spazio il raccapriccio, la mancanza di pietà di questi uomini che si volevano portatori di progresso. Si è soliti trattare Gorini come un ingenuo fautore della scienza, eppure la sua ossessiva manipolazione dei cadaveri non è innocente. Può darsi che volesse rendere conservabile la carne degli animali per risolvere problemi di trasporto o il prolungamento della commestibilità delle carni, ma questi problemi non hanno nulla a che vedere con le terribili profanazioni del suo museo. Persone intere o a pezzi, non «perfettamente» conservate, come si è soliti dire, ma conservate con una tecnica prodigiosa eppure imperfetta che li rende grotteschi, danno spettacolo di sé in teche e bare di cristallo. Gorini giustificava il suo operato a partire da motivazioni scientifiche, pratiche oppure con quelle classiche del materialismo sensista: la conservazione dell’immagine del caro estinto. Il problema era però che con queste motivazioni sensate o positive, egli profanava corpi di persone che non avevano assentito: poveri, i cui corpi non venivano reclamati; dementi, contadini senza parenti. Per procurasi i cadaveri ricorreva anche alla corruzione. Nonostante l’opposizione della chiesa locale, la sua attività cominciò sotto il governo Austro-Ungarico ma soprattutto dopo l’Unità, e allora senza più restrizioni.

Il forno crematorio

L’impianto crematorio del cimitero Monumentale di Milano

Come abbiamo avuto modo già fuggevolmente di accennare, il problema della conservazione dei corpi umani era affrontato assieme a quello della loro distruzione totale, attraverso la cremazione. Gorini fu un luminare in entrambe le specialità. Si dedicò allo studio della pietrificazione, e poi a quello della cremazione, con eguale passione diventando addirittura l’inventore del moderno forno crematorio. Grazie a lui, Lodi ebbe il primato in Italia per una cremazione efficace nel 1875 (4676. Il principio del sistema goriniano di cremazione che il cadavere serve di combustibile a sè stesso, si trova già in Lucano Pharsalia (L. VIII v. 775-778) “Carpitur et lentum Magnus distillat in ignem – Tabe fovens bustum”. Pompeo goccia lentamente sui carboni e mantiene colla sua grascia il rogo.) e nel 1877 nel cimitero lodigiano di Riolo si ebbe il primo impianto moderno di cremazione. Per questo motivo, la Società Italiana di Cremazione ha preso il nome da lui. Cremazione e pietrificazione (o tecniche analoghe, come imbalsamazione e mummificazione) sono dunque espressioni della stessa cultura. E soluzioni che Gorini riteneva entrambe soddisfacenti per uccidere completamente il cadavere, per staccare evidentemente le possibili larve che la sua teoria neo-pitagorica lo induceva a credere potessero aderire al corpo. Come non mettere in relazione queste sue credenze all’episodio, unico nella storia italiana, del tentativo di imbalsamazione permanente di Mazzini?

Il Ka di Mazzini

Per cercare ciò che si cela tra le pieghe di questo progetto bisogna partire allora dal fascino che avvolgeva le pratiche egizie, particolarmente forte in quell’ambiente dove materialisti radicali credevano, per stringente coerenza, alla materialità dell’anima, concepita come una forma attenuata di materia (Allo stesso modo in cui fu spiritualista Mazzini convinto reincarnazionista, certo dell’esistenza degli «angeli». Tanto che C. Gatto Trocchi lo considera un precursore del New Age. Ed ha sicuramente ragione, se si appone la precisazione che lo fu perché vicino alla cultura che fece da brodo di cultura dell’esoterismo e del New Age, la Massoneria e il Teosofismo. Gatto Trocchi C., op. cit. p. 29). Nelle fazioni socialisteggianti si contavano soprattutto gli spiritisti, i quali teorizzavano la necessità dell’incenerizioni del cadavere. La bizzarra vicenda post-mortem di Mazzini deve essere riletta con le categorie della credenze occulte per le quali un corpo morto, se adeguatamente preparato, poteva costituire un «appoggio» per le successive apparizioni della sua larva. Secondo tali credenze, il morto poteva così fare da nume tutelare, eroe protettore della sua fazione. Non a caso Torino, la capitale dei Savoia e uno dei più importanti centri occultistici d’Italia, fu arricchita da un Museo Egizio che diverrà il più importante del mondo, secondo soltanto a quello del Cairo. Una voga trainata dalla riscoperta dell’Egitto autentico voluta da Napoleone che andò alla ricerca delle fonti della vera spiritualità proprio nella terra delle dune, riportandone migliaia di reperti che avrebbero rivitalizzato i cultori della «primigenia tradizione» in Europa, quella tradizione egizia che, secondo le leggende coltivate negli ambienti della misteriosofia europea, era passata in Grecia rimanendo nelle pieghe della società europea come un segreto tramandato da conventicole di sapienti.
Le varianti occultistiche della Massoneria ottocentesca, infatti, credevano che la spiritualità venisse dall’Egitto non dall’India (ipotesi che verrà opposta a questa) e che nelle pratiche degli Egiziani, oltreché che in quelle degli ebrei, loro eredi, si potessero trovare grandi tesori magici sia di tipo teorico che di tipo operativo. Una fra queste consisteva nella convinzione che piramidi, mummie e particolari rituali potessero prolungare la vita del defunto. Ora, come è noto, tre sono le componenti più «visibili» della religione – egizia», oltre gli obelischi da lungo tempo cristianizzati: la magia, le piramidi e le mummie, legate alla credenza dell’oltretomba. L’episodio della mummia di Mazzini sembra presentarle tutte.

Politica e occultismo

Paolo Gorini
Paolo Gorini

Luzzatto ricorda che dopo il 1872; fra i discepoli diretti dell’apostolo emersero Quadrio e Campanella oltre a Bertani. Il primo «finì per incarnare la tendenza religiosa del mazzinianismo, Campanella quella laica, con Bertani atteggiato a campione della Realpolitik» (Luzzatto S., op. cit., p. 106.). Il laicismo di questi uomini è però ingannevole perché sparisce spesso nella coltivazione di una particolare politica occulta. Quadrio sicuramente era particolarmente, fanaticamente, devoto alla mummia dell’apostolo.

Al sepolcro di Mazzini nel cimitero di Staglieno il vecchio Quadrio votò un culto al limite del fanatismo. Rivolto ai militanti repubblicani del sobborgo genovese di Marassi, spiegò di considerarli “come la Compagnia della Morte intorno al Carroccio alla battaglia di Legnano. Agli abitanti di Valbisagno – fisicamente tanto prossimi al camposanto – competeva di difendere la tomba di Mazzini, in caso di attacco, scongiurando qualsiasi profanazione. (Luzzatto, op. cit., p. 107).

Mazzini come “santo protettore”

Mazzini

L’atteggiamento di Quadrio potrebbe significare soltanto una predisposizione alla retorica e al sentimentalismo ma vi sono indizi che qualche altra intenzione si agitava nella coscienza di questi uomini. Ci si può innanzitutto domandare per quale motivo Quadrio temesse che qualcuno volesse profanare la tomba di Mazzini. Forse che, per qualche credenza non espressa da questo gruppo di uomini era ritenuto necessaria la conservazione della mummia dell’apostolo proprio in quel luogo. Non sembri allora estrema l’allusione che faremo. Forse che qualcuno, all’interno dell’église dei devoti di Mazzini coltivava la convinzione che l’apostolo agisse da nume tutelare per propiziare l’Italia repubblicana? E in che modo? Proviamo a fare un’ipotesi, cercando di fondarla. Secondo gli egittologi, gli antichi Egizi credevano all’esistenza di un elemento della persona umana, il Ka, in grado di permanere se il corpo viene mantenuto. Così ne spiega l’uso l’egittologo Boris de Rachelwitz (corsivi aggiunti):

Figurativamente esso è l’esatta controparte dell’individuo: nasce con questi ed ha il suo stesso aspetto somatico, quasi immagine, riflessa in uno specchio opaco, della persona a cui si riferisce (…) Il Ka è anche portatore di sentimenti e volontà (…) ed entra in azione come entità personalizzata solo all’atto della morte (…) Assicurata dunque l’indisstruttibilità del corpo fisico, il defunto ha assicurato perpetuamente la vita del Ka (…) il corpo mummificato è necessario alla vita del Ka di cui costituisce il vero supporto, ed è attraverso questo (…) che il Ka si alimenta… (De Rachelwitz B., Il libro dei morti egiziano, Melita, Genova 1989).

Si rilegga l’ultima frase: «assicurata dunque l’indistruttibilità del corpo fisico, il defunto ha assicurato perpetuamente la vita del Ka (…) il corpo mummificato è necessario alla vita del Ka di cui costituisce il vero supporto, ed è attraverso questo (…) che il Ka si alimenta». Il lettore avrà già capito dove vogliamo portarlo. La sapienza egizia-pitagorica era costituiva una corrente ben presente nella Massoneria italiana, quella Massoneria i cui vertici gestirono lo strano progetto della mummificazione di Mazzini (La bibliografia che attesta e commenta questa tradizione è molto nutrita e quasi tutta di provenienza massonica). Possibile? I rivoluzionari mazziniani, i massoni di robusta costituzione materialista potevano pensare a qualcosa del genere? Che la mummia preservasse in forma eterna quello spirito o fantasma o larva benevola di Mazzini? Questo o anche questo era uno degli scopi della mummificazione dell’apostolo? E la Compagnia della Morte che il Quadrio vagheggiò per la conservazione di quella salma aveva lo scopo di proteggere questa lunga operazione teurgica? C’è da essere poco increduli sul fatto che simili uomini potessero nutrire di queste convinzioni. Il solido professore di matematica Arturo Reghini (1878-1946), massone e pitagorico, si vanterà di avere propiziato la nascita del Fascismo dopo una lunga e ripetuta cerimonia di evocazione, negli anni venti. 
Carlo Dossi – del tutto incredulo su questi punti – scherzosamente fa accenno all’idea che il corpo imbalsamato possa bloccare la reincarnazione.

«L.d.B. La lamentazione di un cadavere pietrificato – Era un uomo illustre: l’hanno voluto onorare, dopo morte, cangiandolo in pietra. Egli vede, intorno a sè, le sciolte molecole degli altri corpi rientrare nella perpetua danza e rivivere in nuovi corpi. Ma egli è condannato a non dissolversi più, a non riaquistar quindi, sotto nessuna altra forma, un’altra vita. E anela alla vita, fosse pur quella di una marmotta, ed impreca a’ suoi malconsigliati ammiratori. – Intrecciarvi l’elogio della cremazione, la quale ajuta il pronto rinnovarsi de’ corpi. – Incatenato eternamente alle antiche sue spoglie, come Prometeo allo scoglio, egli chiede a Gorini che lo ha impietrito: e che ti feci di male o Gorini? Perchè uccidesti completamente le molecole mie, perchè facesti di me un morto senza rissurezione, un immortale cadavere?» (Si tratta della Nota 4744 citata da Luzzatto all’inizio del suo volume forse pensando che si riferiscano proprio a Mazzini).

Queste righe semischerzose di Dossi sembrano proprio riferirsi al più illustre fra gli uomini pietrificati da Gorini. Quello per il quale si era chiacchierato di più «incatenato eternamente alle antiche sue spoglie, come Prometeo allo scoglio chiede a Gorini, «perchè facesti di me un morto senza rissurezione?». La Nota riportano conversazioni sull’oltretomba effettivamente intrattenute fra Dossi e Gorini. E quale teatro migliore per quelle lugubri elucubrazioni del laboratorio in penombra di San Nicolò in Lodi?

Il rischio della trasformazione in fantasma

Gorini credeva fosse necessario uccidere del tutto il cadavere per evitare inconvenienti, come il ritorno di fantasmi. Per questo motivo la pietrificazione andava iniziata al più presto, altrimenti la mancata sostituzione dei liquidi del cadavere con i pietrificanti salini avrebbe reso poco efficace la pratica. Mazzini, giacendo per tre giorni mentre i suoi discepoli discutevano, non aveva potuto beneficiare dell’uccisione totale del proprio cadavere e forse il professore era consapevole di manipolare un corpo che non poteva più morire del tutto.

È possibile che questi «padri della patria» nutrissero di queste convinzioni, che credessero nell’esistenza del Ka e in una qualche forma, diciamo così, «nobile» di negromanzia. Da tempo ormai l’immagine di una Massoneria baluardo della ragione e dell’Illuminismo razionalista è crollata sotto studi che ne hanno aggiustato l’immagine, proponendola addirittura come «terreno di coltura» di quasi tutte le forme di esoterismo che hanno attecchito in Occidente. Sarebbe ingenuo, oggi, stupirsi che una simile domanda venga posta in relazione all’élite della Rivoluzione italiana, che si raccolse attorno alla salma di Mazzini e non può essere rigettato del tutto il sospetto che qualcuno tra i mazziniani che vegliarono il capezzale di Mazzini, nutrisse una simile intenzione: creare un «santo» protettore, che agisse in forma spirituale come «eroe» protettore.

La moda del Ka

Il Ka ovvero lo spirito o meglio il fantasma, materia dematerializzata, è costantemente richiamato nella letteratura dell’epoca, persino in quella positivista. Anzi ne è uno dei topoi (Inutile dire che questo materialismo dimidiato dello spirito semi-materiale, tipicamente teosofico – con i suoi corpi plurimi, dal materiale ai più sottili – non ha nulla a che vedere con le concezioni cattoliche per le quali il santo appare per intercessione divina. Non è costretto ad apparire).  Spiritismo e teosofismo permettevano simili sogni. Seppellito il corpo del profeta, rovinato, ma ancora indubbiamente mummificato, per anni fu sottratto alla vista ma non al ricordo di una comunità di mazziniani sempre molto attiva una specie di petite èglise che univa orizzonti politici e spirituali insieme (Che credeva nella reincarnazione ma a differenza di Kardec non nello spiritismo; Mazzini condannava «tutto questo guazzabuglio di tavolini in convlusioni, di medium che fanno traffico e mercanzia di anime…», v. Introvigne M. Il cappello del mago, p. 54 e p. 24). È singolare che proprio i reincarnazionisti non s’immaginavano un Mazzini reincarnato ma preferivano pensarlo come uno spirito guida, perennemente disincarnato. Il giovane Arturo Reghini (1878-1946), massone ed esoterista, organizzatore della rinnovata Tradizione Iniziatica Occidentale egiziana e pitagorica, in una conferenza alla sede della Società Teosofica di Roma nel 1907, si richiamò al Mazzini «santo» capace di operare miracoli.1 Nonostante sia stato messo anche lui nel Pantheon dei nuovi eroi, nulla di simile fu creduto per di Garibaldi. Nel 1918, Reghini torna sull’argomento parlando addirittura delle apparizioni che il «santo» misericordiosamente concedeva ai suoi adepti. Eppure, secondo le convinzioni reincarnazioniste, a quell’epoca Mazzini avrebbe dovuto essere reincarnato. Era la mummia, si credeva, a mantenere in vita il Ka del profeta? (Reghini appartenne a gruppi che riprendevano le credenze egiziane, in parte anche quelle sull’Oltretomba, fra queste l’O.T.O. e il Memphis-Misraïm, massoneria «di frangia» dai rituali spiccatamente egiziani. La magia dell’OTO, come la codificò Crowley, non riteneva impossibile, per esempio, la produzione di un Golem. Anzi, la formazione dell’homunculus fu una delle ossessioni del magista inglese).

Un materialismo di facciata, uno spiritismo di sostanza

La convinzione che il positivismo ottocentesco fosse totalmente materialista, come il marxismo-leninismo ha lasciato spazio a un’idea più sfumata. Sul materialismo assoluto sembra aver sempre prevalso una forma di materialismo attenuato, sicuramente la forma preferita dalle élite di liberali, socialisti, massoni teosofi che nel settecento e nell’Ottocento iniziarono, e portarono avanti con successo, la battaglia per lo «svecchiamento delle idee». I campioni nel positivismo, come Cesare Lombroso (1835-1919), s’incuriosivano allo spiritismo, non alzavano le spalle, non lo considevano una superstizione: «anche se ridotta a materia sottilissima l’anima (la psiche o lo spirito) continuava a proporre misteriose problematiche. Lombroso (…) era fermissimo nel ribadire la materialità dell’anima e nell’affermare rigidamente che i fenomeno spiritici andavano visti come fatti energetici» (Gatto Trocchi C., op. cit., p. 43). I futuri capi comunisti come Lenin o Giorgio Amendola erano o erano stati teosofi, reincarnazionisti e spiritisti. Arianosofi – principale covata del Nazismo – comunisti e anarchici frequenteranno Monte Verità di Ascona. Reincarnazionismo e cremazionismo, embalming movement e spiritismo sono parole accoppiabili in endiadi. Allorché si postula che l’anima sia materia attenuata, o magnetica, la sussistenza o la distruzione completa del corpo potevano dare effetti diversi. Per questo motivo spiritismo e materialismo non erano in contraddizione fra loro.

«Negli stessi anni in cui le élite intellettuali abbandonava la fede nei padre, sorgevano ovunque e si diffondevano fenomeni spiritici che ribadivano “empiricamente” la presenza di anime o spiriti immortali vaganti nello spazio, che potevano essere evocati, chiamati, materializzati e costretti a parlare (…) la necromanzia si basava da millenni sull’evocazione dei oorti (necrosa) a fini divinatori. In tempi di scientismo positivista, lo spiritismo fornì gli elementi per una nuova religiosità laica» (Gatto Trocchi C., op. cit., p. 44).

Le élite ottocentesche e la moda dell’esoterismo

Per questo motivo Réné Guenon scrisse un’opera intera contro lo spiritismo (Errore dello Spiritismo) e contro la teosofia (Una falsa religione), due movimenti molti vicini che lui considerava «materialisti». L’anatomia esoterica di spiritismo e teosofia presentano poi ovvie somiglianze con il cabalismo da cui derivano parte delle loro dottrine. Sono tutte tracce di una dialettica di credenze a noi piuttosto vicine nel tempo, e che hanno coinvolto le élite intellettuali dell’Ottocento e dei primi del Novecento, eppure diventate quasi indecifrabili, oggi perché poco studiate, sottoposte a rimozione o semplicemente non comprese.

Ciò che importa comunque è che, a seconda dell’accentuazione, messa sullo spirito (fatto di materia attenuata) o sulla materia (fatta di spirito materializzato) questo schema gnoseologico e metafisico riesce a conciliare lo gnosticismo con il materialismo. Ciò spiegherà perché fabiani alla Ruskin, rivoluzionari del marxismo-leninismo, socialisti rivoluzionari sino ai più inumani movimenti gnostico-rivoluzionari come il peruviano Sendero Luminoso, il cambogiano dei Khmer Rossi abbiano potuto essere spesso teosofi e massoni razionalisti senza che ciò si ponesse in contraddizione con il loro dichiarato «materialismo».
Una cosa è certa, l’ambiente nel quale maturò il progetto di mummificazione di Mazzini e la sua collocazione non in un mausoleo funebre ma in un «tempio» non ha ceduto ancora tutta la sua verità.

Continua…

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Bibliografia

  • Carli A., Carlo Dossi e Paolo Gorini. Letteratura e scienza scapigliata, in Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Rendiconti. Classi di lettere e Scienze Morali e Storiche, vol. 135 (2001).
  • Filippani-Roniconi P., Miti e religioni dell’India, NewtonCompton, Roma.
  • De Rachelwitz B., Il libro dei morti egiziano, Melita, Genova 1989.
  • Introvigne M. Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, Sugaco, Milano 1990.

Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone

Mario Arturo Iannaccone si è laureato in Lettere all’Università degli Studi di Milano, specializzandosi in Storia del Rinascimento. È romanziere e saggista. Insegna Scrittura Creativa all’Accademia di Belle Arti SantaGiulia di Brescia. Ricercatore storico e studioso di storia dell’immaginario e delle idee, ha pubblicato molti libri e centinaia di articoli, collaborando con mensili, settimanali e quotidiani.

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